Diagnosi preimpianto per le coppie fertili con patologie: cade il divieto

Diagnosi preimpianto: la Corte Costituzionale boccia il divieto di accesso alla fecondazione assistita per le coppie fertili portatrici di patologie genetiche. Undici anni dopo la Legge 40 è stata smontata 33 volte. 

La Consulta ha eliminato il divieto della diagnosi reimpianto alle coppie fertili portatrici di patologie genetiche.


Undici anni dopo la sua nascita, della Legge 40 non resta quasi più nulla. L'ultimo pezzetto ad essere crollato è quello che impediva alle coppie fertili ma portatrici di patologie genetiche di aver accesso alla fecondazione assistita e dunque alla diagnosi preimpianto. La decisione arriva dalla Corte Costituzionale che ne ha dichiarato l'illegittimità mettendo così fine a quella discriminazione alla base della decisione con cui la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo nel 2012 bocciò la norma. 

L'ultima sentenza della Consulta - di cui si attendono ancora le motivazioni - arriva dopo che il Tribunale di Roma e quello di Milano avevano presentato ricorso con due distinte ordinanze, a seguito di due procedimenti avviati da coppie a cui era stata negata la possibilità di effettuare la diagnosi preimpianto - che era consentita solo alle coppie coniugate, infertili o sterili - nonostante fosse accertato che fossero portatrici sane di gravi patologie genetiche. 

Filomena Gallo, uno degli avvocati delle coppie coinvolte, non trattiene l’entusiasmo: “Esprimo gioia e soddisfazione: ci aspettavamo una sentenza in tal senso, che rispettasse i diritti delle coppie che chiedono l'accesso ai trattamenti sanitari affinché siano rispettati diritto alla salute e principio di uguaglianza".  

Ancora una volta, è con la storia e il coraggio dei singoli che decidono di andare fino in fondo, che la giurisprudenza detta le leggi degli uomini. D'altra parte la Legge 40 del 2004 è stata una delle più discusse della Repubblica Italiana. Approvata nel 2004, la norma fu sottoposta a un referendum l'anno dopo che ne chiedeva l'abrogazione ma che fallì. Ci hanno pensato le aule dei tribunali a smontarla un pezzo alla volta. Trentatré, per la precisione. Da quelli di primo grado fino alla Corte Costituzionale e la Corte europea dei diritti di Strasburgo, i giudici hanno eliminato quattro divieti - produzione di più di tre embrioni e crioconservazione, l'obbligo contemporaneo di impianto di tutti gli embrioni prodotti, il divieto di diagnosi preimpianto -, di cui il penultimo è stato quello di fecondazione eterologa.

In questo caso sono state due giovani coppie determinate a mettere fine al cavillo che mettava rischio la salute della donna e la esponeva all'aborto. E ci sono riuscite. Per una coppia, infatti, il problema è una malattia che produce una malformazione incompatibile con la gravidanza e che ha causato alla donna cinque aborti di cui quattro spontanei. Per l'altra, invece, è la distrofia di Becker che, anche in questo caso, ha portato a un'interruzione di gravidanza. 
 
Dalla talassemia alla fibrosi cistica, in Italia sono oltre duemila ogni anno le coppie fertili portatrici di malattie genetiche, che non hanno accesso all'analisi che permetterebbe loro di avere un figlio sano. Finora, s’intende. 

La guerra, però, non è ancora vinta:  le battaglie giudiziarie attendono udienza presso la Consulta e la Grand Chambre della Corte europea per eliminare anche il divieto di utilizzo degli embrioni per la ricerca scientifica e la revoca del consenso. Così come è rimasto in vigore il divieto di accesso alla fecondazione assistita per i single e le coppie omossesuali. Per quello, però, la strada è ancora lunga, lunghissima.

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