Cervello, quello dei sessisti è fatto in maniera diversa
Uno studio pubblicato su Scientific Reports condotto da ricercatori giapponesi suggerisce che il cervello di chi ha comportamenti sessisti sia diverso da chi, invece, crede nelle pari opportunità.
Tutta colpa del cervello: se questo non è un mondo per donne (almeno non ancora del tutto) è perché la materia grigia di qualcuno è più densa di altri. Ad attribuire alla neuroscienza la deriva sessista è uno studio pubblicato su Scientific Reports che ha passato al setaccio centinaia di volontari. Non abbastanza per mettere un punto alla questione, ma sufficienti a suggerire che le pari opportunità sono un traguardo più difficile del previsto.
A portare avanti lo studio sono stati alcuni ricercatori giapponesi che hanno passato al setaccio 681 studenti (di cui 306 donne di 21 anni), per poi scoprire che i cervelli di chi manifesta comportamenti sessisti sono diversi rispetto a quelli di chi crede nell’uguaglianza fra i generi. Ma non solo: la ricerca ha anche messo in relazione il sessismo e altri disagi psicologici, dalla depressione all’ansia passando per l’alcolismo.
L’unità di misura con cui sono stati vagliati i volontari è il Sex Role Egalitarianism (SRE), ovvero il concetto che il sesso non influenzi diritti, obblighi, capacità, opportunità dei singoli individui: pertanto i 681 studenti sono stati chiamati a rispondere a un questionario che chiedeva loro se fossero o meno d’accordo con la suddivisione equa dei compiti casalinghi e se ritenessero che le donne devono lavorare solo in caso di difficoltà economica. Ebbene, la scansione dei cervelli riflette il punteggio SRE: gli ultimi in classifica presentavano una materia grigia densa in una zona associata con l’elaborazione di emozioni tipo rabbia e paura che negli altri non è stata evidenziata.
Il condizionale è d’obbligo perché la correlazione è ancora troppo debole per generalizzare e associare alla struttura cerebrale determinate funzioni cognitive o tratti della personalità. Per arrivare a responsi più precisi bisogna aspettare che il test venga applicato a un campione più ampio. Insomma, c’è ancora tempo per (ben) sperare.
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