Ingrid goes west: la solitudine di un mondo sempre più social

[RECENSIONE] Una realtà alquanto bizzarra quella analizzata da Ingrid goes west, film presentato al Festival del cinema di Londra, in cui in un mondo iperconnesso il male più grande sembra essere la solitudine. 
 

Elizabeth Olsen e Aubrey Plaza nel film Ingrid goes West.

Ingrid Goes West, il film di Matt Spicer, presentato in anteprima al Sundance Film Festival e poi al London Film Festival, sceglie la formula della dark comedy per rivelare al mondo il pericolo tangibile che vivono le nuove generazioni, spesso incapaci di confrontarsi e comunicare con il prossimo, se non attraverso uno schermo. Il cinema ha più volte affrontato la vertiginosa diffusione dei social media con film di genere horror come Unfriended, Friend Request - La Morte ha il tuo profilo, o con la serie tv Black Mirror, ma Ingrid goes West risulta più inquietante e spaventoso, pur mantenendosi lontano dal genere.

Aubrey Plaza è Ingrid Thorburn, una ragazza mentalmente instabile che soffre disperatamente la solitudine, dividendo ogni momento della sua vita esclusivamente con il proprio cellulare. Da quando apre gli occhi la mattina a quando si addormenta la sera, le sue dita non fanno altro che scorrere pagine di Instagram, commentare le migliaia di foto sulle bacheche di amici virtuali, e ricercare compulsivamente l’hashtag più adatto alla situazione. Quando sua madre muore e le lascia una interessante somma di denaro, Aubrey decide di trasferirsi dalla Pennsylvania a Los Angeles, dove abita Taylor Sloane (Elizabeth Olsen), una influencer di Instagram che lei sogna di avere come migliore amica. Si tinge i capelli, compra vestiti e accessori per emularla, trasformandosi in una vera e propria stalker.

Elizabeth Olsen nel film Ingrid goes West.

Ogni sua azione sottolinea un bisogno disperato di attenzione e una dipendenza cronica dallo strumento social che le permette, in un certo senso, di vivere la vita e le emozioni di qualcun altro, alimentando una psicosi senza via di uscita. Una volta conquistata la fiducia di Taylor con l’inganno, Aubrey instaura un’amicizia effimera con lei, basata su una serie di menzogne che tengono a bada la sua instabilità, almeno fino a quando l’equilibrio vacilla con l’entrata in scena di Nicky, l’eccentrico fratello di Taylor, che la smaschera in breve tempo, facendo riemergere la sua patologia. Fin dalla prima scena Spicer affolla lo schermo di foto correlate da hashtag, definendo una fotografia dalle tonalità pop che ricorda film come Spring Breakers o The Neon Demon. I suoi protagonisti sono giovani dell’epoca moderna che passano il tempo tra feste in piscina ed aggiornamenti dei rispettivi profili virtuali per promuovere se stessi, senza una vita professionale ben definita.

You’ve an hashtag!” sembra essere l’unica aspirazione per una piena realizzazione di se stessi e Aubrey diventa il simbolo di una società corrotta da falsi miti, con un confine sempre più sottile tra pubblico e privato. Ingrid goes west è un dramma mascherato da teen comedy dal sapore indie e la sceneggiatura firmata dallo stesso Spicer e David Branson Smith mantiene un buon ritmo, anche se inciampa in alcuni momenti deboli e prevedibili.

Alla base sicuramente l’ispirazione al mondo reale con numerosi casi di cronaca che raccontano scelte drastiche di alcuni giovani in preda alla disperazione per un’affannosa ricerca dell’identità in luoghi sbagliati, lontano da se stessi. Cercare di conquistare l'approvazione degli altri diventando vittime ignare di una dilagante omologazione, alimenta un'ossessione e un'instabilità disarmante, difficile da guarire. 

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