Fertility Day: Beatrice Lorenzin al centro della bufera
"Fertility Day", la campagna promossa dal ministero della salute per invitare alla procreazione, ha infervorato gli italiani e sommerso di critiche Beatrice Lorenzin.
Voleva rompere un tabù e invece ha creato un caso (anche se la parola giusta sarebbe casino). Il #fertilityday promosso sui social dal ministero della Salute ha scatenato gli italiani e sommerso di critiche, più o meno ilari, Beatrice Lorenzin. Che proprio non se l’aspettava e “stupita e amareggiata” ha risposto così: “Perché si possono fare campagne sul diabete o sul cancro, e sulla fertilità no?”.
I perché sono tanti e a snocciolarli ci pensa la rete: perché “La mia gravidanza dura molto più del mio contratto”, perché “Un figlio è a tempo indeterminato, il mio lavoro no” o, per dirla con le parole di Roberto Saviano, perché la campagna “è un insulto a chi non riesce a procreare e a chi vorrebbe ma non ha lavoro”. Insomma, al centro dell’amarezza c’è la mancanza di misure strutturali che il governo dovrebbe attuare per sostenere la demografia (come succede nei paesi che non condividono i nostri numeri in negativo). Perché se gli italiani non si riproducono, non è perché non ci pensano, o perché pensano di essere eterni. Molto spesso è perché non se lo possono permettere e la società non aiuta.
Dire che “La bellezza non ha età, la fertilità sì” o “Datti una mossa! Non aspettare la cicogna” o, ancora, “Genitori giovani. Il modo migliore per essere creativi” e, ancora peggio, “La fertilità è un bene comune” spezza le gambe a tutti. Per non parlare del testo che sta dietro alla campagna che, in un passaggio, scrive: “La crescita del livello di istruzione per le donne ha avuto come effetto sia il ritardo nella formazione di nuovi nuclei familiari, sia un vero e proprio minore investimento psicologico”. Una riflessione che, come hanno notato in tanti, odora di Ventennio, quando la donna doveva fare la madre. E basta.
Il problema italiano (dove la crescita demografica è in negativo) ha origini lontane: “negli anni Cinquanta - spiega Linda Laura Sabbadini, ex dirigente dell’Istat e pioniera delle statistiche di genere - quando ha avuto inizio l’emancipazione delle donna, nei paesi del Nord Europa si è messa in moto anche una politica di conciliazione per redistribuire il peso del welfare familiare. In Italia non è successo: ancora oggi è tutto sulle spalle delle donne e le misure spot, come il bonus bebè, non risolvono di certo la questione”.
Perciò bene che se ne parli, come sottolinea la ministra in un’intervista a La Stampa - “Noi vogliamo informare le persone, a tutto campo, anche sulle malattie sessualmente trasmissibili: con la campagna e con il lavoro nelle scuole, nelle farmacie, nelle Università, dai medici” - ma sarebbe cosa buona e giusta che si passasse anche ai fatti. Per il resto, Lorenzin ha ragione quando sottolinea “io sono il ministro della Salute e mi occupo dell’aspetto sanitario” e anche quando ricorda che “a chi polemizza dicendo che dovremmo occuparci di rendere accessibile la procreazione per le coppie sterili, faccio presente che ho inserito la fecondazione assistita tra i servizi gratuiti, così come gli screening”, tuttavia un approccio più ad ampio raggio, magari affrontato con i colleghi di governo, avrebbe creato meno rumore e offerto più soluzioni. Non è successo ed è normale che i cittadini obiettino: “Ora che la Lorenzin ci ha suggerito di fare figli, il ministro delle finanze ci dirà come mantenerli?”.