Emancipazione delle donne: la storia delle italiane nel '900
Il '900 è stato il secolo dell’emancipazione femminile, ora è tempo di parità dei sessi: non bastano i diritti, anche la società, uomini per primi, devono emanciparsi.
In un mondo ideale, volere è potere. Nel mondo reale l'emancipazione femminile (volere) non si traduce in un mondo dove i diritti delle donne combaciano con quelli degli uomini. Potere. Eccolo, il nodo della faccenda: il potere degli uomini eroso dalle legittime pretese delle donne che, dopo secoli di sottomissione, hanno alzato la testa e iniziato una lotta femminile. I diritti sono (quasi) arrivati, l'effettiva parità dei sessi ancora no.
Emancipazione femminile: il Ventennio
Per raccontare questa storia è utile ripercorrere la storia degli ultimi cent'anni, quando le donne di tutto il mondo iniziarono la battaglia per il suffragio universale femminile. Fatto di passi avanti, di lato e anche indietro. Si prenda Maria, per esempio, una donna qualunque, nata nel 1926, che delle conquiste delle sue colleghe, le femministe lombarde che fecero da spartiacque prima dell’avvento di Mussolini, non ha che il ricordo. Perché le donne nate prima di lei, quelle che avevano iniziato a studiare, a guidare la macchina, a rivendicare ruoli in professioni maschili e stipendi adeguati, si ritrovarono (come lei) iscritte a corsi di economia domestica, relegate a stare a casa che di lavorare non è il caso - e comunque si guadagna (per legge) la metà - e di studiare nemmeno, tanto più che le tasse costano il doppio. Le donne possono fare solo le madri, insomma. Senza avanzare pretese che sono proprietà dell’uomo, al quale devono “sudditanza e, quindi, inferiorità spirituale, culturale ed economica” come spiega il teorico fascista Ferdinando Loffredo nella Politica della Famiglia. E senza sgarrare che nel nuovo Codice Penale, l’articolo 587 introduce il delitto d’onore, ovvero pena ridotta di un terzo per il padre, il marito o il fratello che uccidono la figlia, moglie o la sorella colpevoli di aver infangato l’onor proprio o della famiglia.
Sono gli anni del Fascismo prima e della Guerra poi, in cui c’è poco da scherzare: 52 anni, la speranza di vita per le donne e 12,6% la mortalità infantile. Ma sono anche gli anni in cui il frigo rimpiazza la ghiacciaia e le donne iniziano a fare la spesa e quelli in cui la lavatrice rivoluziona le giornate, liberando le donne (e i figli) dall’incubo di bollire i vestiti per lavarli. Le donne hanno tempo per pensare e senza chiedere il permesso, di agire.
Donna (quasi) emancipata: il dopoguerra
La guerra le porta sulle montagne, come partigiane. L'Italia resiste, esce dal conflitto e il 2 giugno 1946 le porta alle urne: la battaglia per il diritto di voto alle donne è compiuta. La nuova Costituzione riscrive le regole di un Paese da ricostruire in cui: “La donna lavoratrice - recita l’articolo 37 - ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”. Tuttavia restano da modificare il Codice di Famiglia e quello Penale, ma il fermento è tale che l’emancipazione segue altre vie. L’aspettativa di vita sale a 67,9 anni, la mortalità infantile si dimezza, per le strade arrivano la Vespa e la 500, nei bar e nei ristoranti la tv e nel paniere Istat del 1954 entra l'universo mondo. Affettati, pesce, formaggi assortiti, verdure, frutta, noce moscata, sciroppi, vino e acqua gassata, tv, radio, frigo, elettrodomestici, vocabolario, lezioni di lingue straniere, messa in piega, brillantina, aspirina, sigari toscani, auto, benzina, lavanderia, doccia, canone rai, camere d'albergo, cinematografo, partite di calcio, spese per intermediazioni finanziarie, articoli fotografici, servizi funebri. Dal necessario si passa al superfluo e la donna degli anni '50 sguazza felice nella sua nuova (in teoria) parità.
Lotta femminile: dal ’69 all’aborto
Insieme al boom nasce la classe operaia, le università si popolano di giovani (donne comprese) nati tra il 1946 e il 1955, educati da genitori che hanno liberato il Paese dalla guerra e decisi a raccoglierne l'eredità: liberarlo dai lacci e lacciuoli che ancora imbrigliano la società. A metà degli anni Sessanta, la giovane siciliana Franca Viola diventa il simbolo dell'emancipazione femminile rifiutandosi di sposare l'uomo che l'aveva rapita e violentata per otto giorni con il preciso intento di costringerla al matrimonio riparatore. Anche se l’abolizione dell'articolo 544 (quello che annullava il reato di violenza sessuale se il carnefice sposava la vittima), risale al 1981, il suo coraggio anima quello di milioni di altre donne. Arrivano gli anni dell’Autunno caldo del '69, delle contestazioni studentesche e dei movimenti femministi. Debuttano il Fronte Italiano di Liberazione Femminile e il Movimento per la Liberazione della Donna, braccio attivo del Partito Radicale che reclama il divorzio, la legalizzazione dell’aborto, più informazione a proposito di metodi anticoncezionali e la creazione di asili nido. Al motto di “il corpo è mio e me lo gestisco io” le donne scendono in piazza pretendendo quell’emancipazione che, per la prima volta nella storia, vede (parecchi) uomini dalla loro parte. Nel frattempo l’aspettativa di vita sale a 76 anni: c’è tutto il tempo per fare le battaglie.
La donna oggi: emancipata e imbrigliata
Il fermento si assopisce negli anni Ottanta, i collettivi si sciolgono, gli anni di Piombo smorzano le proteste e tra scelte individuali e spinte liberistiche, la società si ripiega su stessa. E così, invece di completare l’opera e lottare affinché lo Stato attuasse quella conciliazione tra welfare familiare e lavoro femminile, permettendo alle donne di lavorare ed essere madri, l’Italia si condanna ad andare avanti a due marce. Il risultato è quello con cui facciamo i conti oggi: un tasso di natalità tra i più bassi d’Europa e in costante calo, una donna su tre che, dopo il primo figlio, abbandona il proprio lavoro e, in generale, madri che lavorano meno di tutte le colleghe europee. Viene da chiedersi perché succeda, visto che le italiane sono quelle che si laureano di più (155 ogni 100 uomini). Succede, per esempio perché gli asili nido pubblici soddisfano solo il 18% delle domande. Risultato: tanto la mancata genitorialità, quanto la bassa occupazione femminile sono riconducibili all’inadeguatezza del Sistema che procede adottando (solo) misure spot. Tipo il bonus bebè.
Donne di fatto (ma non di diritto): la violenza degli uomini
È il 1981 l’anno in cui il delitto d’onore viene cancellato dal Codice Penale. Eppure, ad oggi, le donne continuano a morire per mano di uomini che le considerano loro proprietà. Negli ultimi dieci anni è successo 1740 volte, per lo più tra le mura domestiche (1251) e per lo più sono state uccise dal compagno (846) o dall’ex (224). Eppure qualcosa sta cambiando, soprattutto tra le donne, sempre più consapevoli che l’emancipazione dipende anche da loro: “È diminuita la violenza sulle donne, ma la parte meno grave - scrive su La Stampa Linda Laura Sabbadini, ex dirigente dell’Istat e pioniera delle statistiche di genere - permane invece lo zoccolo duro, quello degli stupri e dei femminicidi. È aumentata la coscienza femminile: sono di più le donne che hanno subito violenza a considerarla un reato; sono di più le donne che riescono a prevenirla o a interrompere la relazione prima che la spirale si stringa troppo attorno a loro. Le donne ne parlano di più con gli altri, si attivano, aumentano le denunce, anche se sono sempre una piccola percentuale del totale, si recano di più presso i centri antiviolenza, i pronto soccorso. Ma i dati dicono anche qualcosa di inquietante, che aumenta la gravità della violenza subita, e in particolare la quota di donne che riferiscono di aver temuto per la propria vita. Come a dire che la maggiore libertà femminile, scatena una reazione maschile più grave ed efferata”. Ecco perché, conclude la Sabbadini, è ora di dire basta, “con la scuola che se ne tiene fuori, e non prepara le ragazze a prevenire la violenza, a riconoscerla e i ragazzi e le ragazze a come relazionarsi tra i sessi. Abbiamo bisogno di una grande battaglia culturale di lungo periodo”. Non basta più (solo) l'emancipazione femminile: oggi serve quella degli uomini, dello Stato e della società. È arrivato il momento della parità, senza se e senza ma: l'aspettativa di vita ha superato gli 85 anni, abbastanza per diventare saggi e tutti uguali.
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