Storie di anoressia: rinascere dalla pelle e dalle ossa
Kaitlyn Davidson, da anoressica ad aspirante Miss Bikini e Elle Lietzow, "la balena grassa" del liceo che ha sfiorato la morte. Poi la petizione al Ministro Lorenzin: storie di anoressia nell'attesa di una legge come in Francia.
Le storie di anoressia si assomigliano: raccontano vite consumate di corpi che si asciugano sempre di più mentre tutt’intorno si fa grigio e ovattato e l’ago della bilancia diventa l’unico credo. Raccontano specchi che restituiscono profili immaginari e l'impotenza di amici e familiari ignorati. Raccontano i modelli (sempre magri, troppo magri) proposti da quella stessa società che finge di combattere il dramma e lascia che siano le stesse modelle a denunciarlo.
Alcune sull'orlo del baratro, altre dopo averlo visto nell'ombra di qualche collega. Francia a parte, dove il Parlamento ha recentemente approvato una legge anti-anoressia obbligando le modelle a esibire un certificato medico prima di salire in passerella. A chiedere una legge simile anche per l'Italia è Esnedy Milan Herrera, di cui vi parleremo. Prima però, vi raccontiamo le ultime due storie di cronaca che assomigliano a milioni di altre e raccontano di una rinascita dalla pelle e dalle ossa.
Dallo scheletro a miss Bikini
Come quella di Kaitlyn Davidson, 23 anni, australiana che ha guardato la morte allo specchio, stampata nei suoi 30 chili di pelle e ossa, nei capelli che le cadevano a ciocche, nel ciclo mestruale che si era trasformato in un ricordo, nelle parole dei medici: in questo modo morirai, le dicevano. “Ero dipendente dalla sensazione che dà spingersi oltre il limite - racconta oggi al Daily Mail, ricordando quegli anni bui -, sentirsi esauriti ed esausti, e vedere il cibo come un nemico. La passione per la palestra e la salute sono diventate un'ossessione mortale. Il disturbo alimentare era andato così fuori controllo che il mio cuore avrebbe potuto fermarsi in qualsiasi momento”.
L’istinto di sopravvivenza fa cucù durante le vacanze di Natale 2012, Kaitlyn è alle Hawaii, magra come un chiodo, tanto che veste solo taglie da bambino. “Non potevo nemmeno fare un bagno, perché mi sentivo sempre morire dal freddo - racconta -. Figuriamoci in costume. Non riuscivo a rilassarmi e godere del tempo con la mia famiglia. L’ansia cresceva, così il bisogno di controllare tutto. Non mi muovevo mai dall’albergo, dove c’era la palestra e dove potevo organizzarmi da sola i pasti”. Finita la vacanza Kaitlyn cede all’evidenza e accetta di farsi vedere da un medico. La madre le regala l'autobiografia di Portia De Rossi e Kaitlyn si riconosce in ogni pagina, “la sua storia era troppo simile alla mia per poterla ignorare”. E si sa che riconoscere il problema è il primo passo per risolverlo.
Kaitlyn affronta i suoi demoni, prende 20 chili, ricostituisce la massa muscolare e s’iscrive a dei concorsi in bikini per spettacoli di fitness. A ottobre 2015 si piazza sesta al World Beauty Fitness & Fashion bikini contest.
“La balena grassa”
Anche Elle Lietzow è australiana: vive a Melbourne, ha 19 anni e oggi insegue una vita sana dopo anni passati a contare le costole. L’incubo inizia al liceo: Elle era leggermente sovrappeso e per i compagni era la "balena grassa". Un epiteto frustrante e insopportabile per Elle che decide di unirsi al gruppo di nuoto della scuola e in pochi mesi diventa un figurino. A scuola non la chiamano più "balena grassa" ma questo non ha più importanza perché Elle è già entrata nel vortice e riconduce le nuove amicizie e la popolarità a scuola al fatto di essere diventata magra. Un giorno smette di nuotare e, per non ingrassare, pure di mangiare, o quasi, insomma. In due mesi perde 12 chili.
Non le bastano: fa due ore di esercizi al giorno e segue una dieta "da fame", passano altri mesi e i chili persi sono 40. Elle è lo spirito di se stessa ma non riesce a vedersi per quello che è diventata: lo specchio le restituisce curve che non ha, gli amici e i familiari le dicono che stava meglio prima ma lei non li ascolta. I capelli cadono a ciocche, le unghie sono blu e si sgretolano, del ciclo non c’è più l’ombra ma a lei non basta ancora. Digiuna per una settimana di fila e finisce all’ospedale: i medici non credono a quello che vedono e si domandano come possa essere ancora viva.
Oggi Elle sta meglio, è diventata vegana e ogni giorno mangia due papaie, 4 mele, 4 kiwi, e 5 banane a colazione; 2 patate dolci con salsa di avocado a pranzo e zuppa di curry Thai e una patata a cena. Ma soprattutto, oggi Elle si vede per quello che era diventata e ha deciso di “Ispirare gli altri, tramite i miei profili Instagram e YouTube, che lo stile di vita vegano è buono e giusto. Non solo: voglio anche ispirare i malati di anoressia a guarire: per farlo – ha spiegato la ragazza – ci vuole solo ed esclusivamente la propria forza di volontà”.
L’appello al Ministro Lorenzin
Pochi giorni prima che la Francia si dotasse della legge anti-anoressia, Esnedy Milan Herrera, ex fotomodella diplomata come attrice e autrice teatrale, ma anche in Scienze dell'alimentazione a Cuba, ha affidato a Change.org la sua petizione al Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, chiedendo che anche l’Italia affronti il problema. Perché lei si è salvata grazie alla sua laurea, ma “con i miei stessi occhi, nel mondo della moda" ha visto "tante povere giovani ragazze morte, invisibili a tutte, per anoressia o bulimia". Perciò, chiede "una legge che proibisce che le ragazze anoressiche siano un esempio di bellezza per le nuove generazioni: vorrei che chi fa pubblicità a questo modello e canone di bellezza - nelle sfilate, sulle copertine dei giornali o attraverso i mass media - possa essere accusato dai cittadini, come se fosse autore di un reato, e multato”.
A supporto della sua proposta - sottoscritta da quasi 8mila firme - spiega come “In Israele, qualunque editore, stilista o agente che lavori con ragazze troppo magre è passibile di denuncia. I cittadini e le famiglie possono trascinare in tribunale chiunque sia ritenuto responsabile di diffondere immagini che istighino all'eccessiva magrezza”. Insomma, una legge s’ha da fare: “Tutte le famiglie delle vittime le saranno grate - conclude la petizione - per aver fatto giustizia anche per chi non può più parlare. Fino a oggi, di fronte a questo fenomeno, ha regnato soltanto l'indifferenza, i familiari piangono da soli e si vergognano. Nessuno fa luce su questa realtà assurda, nessuno fa qualcosa per risolvere il problema con forza e determinazione”. Nell’attesa che quel giorno arrivi, la battaglia delle donne continua.
Copyright foto: Fotolia/Facebook@Elle Lietzow
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