Alessandra Moretti, ovvero Ladylike, non conosce mezze misure

La sua biografia di Alessandra Moretti, ovvero Ladylike, è un'altalena di ribaltoni, tra successi clamorosi e sonore sconfitte. Nel 2014 era la deputata più votata, alle Elezioni Regionali del 2015 la più sconfitta.    

Alessandra Moretti, che si è soprannominata LadyLike, compirà 42 anni il prossimo 24 giugno.


Ogni sette anni, dicono, si chiude un ciclo della vita. Alessandra Moretti può confermare. Nel 2008, quando fu eletta vicesindaco dalla sua Vicenza, aveva 35 anni; il 24 giugno 2015 ne compirà 42 e la sua corsa politica sembra arrivata al capolinea. A meno, dicono i maligni, di un miracolo: il picco della sua popolarità, le elezioni europee del 2014 da cui uscì come eurodeputata più votata d’Italia, sono un ricordo lontano. Sepolto dalle regionali del 31 maggio, che l’hanno bollata come candidata alla presidenza del Veneto stracciata dal leghista Luca Zaia: più che doppiata nei consensi. Aveva previsto (o forse gufato) un "golden goal": va da sé che all'indomani dei risultati la rete l'abbia ribattezzato un clamoroso "auto goal". 

Universalmente conosciuta come Ladylike (nomignolo che s’è appioppata da sé), è diventata il bersaglio di sberleffi spesso poco eleganti e senz’altro per niente generosi. Però, se è chiaro che ad Alessandra le mezze misure vanno strette - e ora le tocca trovarsene una intera da cui ripartire – lo è altrettanto il fatto che Ale non va cercando simpatia. Era senz’altro consapevole che un suo passo falso non sarebbe passato in sordina.

Mamma di Guido e Margherita (sette e cinque anni), separata dal marito Tommaso, paparazzata a flirtare con Massimo Giletti, Alessandra è di nuovo single - dicono i gossip - a causa della sua passione politica che l'assorbe sin dai tempi del liceo e in tempi più moderni l'ha fatta marciare a passi lunghi e ben distesi, senza guardare in faccia a nessuno. È passata dai Democratici di sinistra a una candidatura in zona centro destra – primo ribaltone – alle liste civiche e infine al partito democratico – controribaltone –, e ha sempre spiegato le sue capriole con la passione per il centro moderato: “Essere al centro, non è una scelta ideologica. È una questione di metodo”, diceva nel 2007. 

Laureata in Giurisprudenza con una tesi in criminologia, ha esercitato come avvocato matrimonialista. Del fallimento delle sue nozze ha spiegato a Vanity Fair che l’addio è stato deciso di comune accordo e anzi “ci siamo fatti aiutare da una psicoterapeuta della famiglia per trovare le parole giuste per dirlo ai ragazzi. Bisogna capire che non si può gestire tutto da soli”. E che, in ogni caso, sciolto il vincolo resta il nucleo: “i miei figli sanno che l’amore dei loro genitori è finito, ma la nostra famiglia no - ha spiegato -. Gli piace vederci ancora insieme, e così se io mi accorgo che, mentre sono da me, il papà gli manca, lo chiamo e lo invito a cena. Abbiamo dei momenti che sono ancora di tutti e quattro: il Natale, i compleanni, certe gite”. Della legge sul divorzio breve, invece, è una delle redattrici del testo base. “In tutta la mia carriera di avvocato matrimonialista, mi è capitata solo una coppia che è tornata sui suoi passi” ha spiegato. E a leggere la sua biografia politica si capisce come, di divorzi lampo, Alessandra sia una grande esperta.  

Crede molto in se stessa, tanto da parlare di sé in terza persona. Le hanno chiesto perché ha lasciato il Parlamento europeo appena sei mesi dopo quelle elezioni in cui ha fatto la pigliatutto. Lei ha risposto sorridendo che è stato Matteo (nel senso di Renzi) a chiederle aiuto: “Ale, abbiamo bisogno di te, mi ha detto. E Ale non poteva tirarsi indietro”. Non c’è da meravigliarsi: di se stessa pensa d’essere semplicemente “la migliore”. I migliori non cercano giustificazioni, e in vista di un obiettivo più alto non si preoccupano neppure troppo della lealtà. La carriera politica di Alessandra non fa eccezione. 

Fu Pier Luigi Bersani il primo a scoprirla, a scommettere sull’ovale del suo viso e su quegli occhi azzurri e profondi: la mandò in tv, lei riuscì benissimo fin da subito e lui la nominò portavoce per la campagna elettorale 2013. Come sono andate quelle elezioni è storia: il vecchio Pier Luigi, che fino ad allora Ale descriveva senza esitare come sola guida possibile, accostandolo perfino in paragoni scapicollati a Cary Grant per fascino e decisione, non si dimostrò capace di mettere insieme un governo. Pare che nel giorno decisivo, quando si trattava di eleggere Franco Marini Capo dello Stato e Bersani si stava giocando su quel voto il suo futuro politico, annusata l’aria che tirava, Ale si sia arruolata nella pattuglia delle schede bianche che ha affondato - d’un colpo solo - tanto Marini quanto Bersani. Era il 18 aprile 2013.

D’altra parte, ha spiegato la Moretti “Io sono la più brava”. E anche: “Appartengo a una stirpe di politiche più belle, più brave, più intelligenti. Vado dall’estetista ogni settimana... ho deciso di prendermi cura di me. Dovrei forse stare coi peli e i capelli bianchi? Sto attenta alla linea e ogni mattina accompagno i bambini a scuola, loro in bicicletta e io correndo”. Un bell’esempio di orgoglio al femminile, non fosse che il paragone implicito era con Rosy Bindi. Ed ecco il suo stile “io sono lo stile Ladylike”, che in inglese sta per “raffinata”, “elegante”. Niente a che vedere con le manine di Facebook, insomma. Anche se nell’era della politica sociale, pure quelle hanno il loro peso a Montecitorio e dintorni.

Mollato Bersani, serviva un nuovo punto d’attacco. E se i primi avvicinamenti a Matteo Renzi – che da bersaniana dura e pura aveva bistrattato in tv più di una volta, definendolo “un maschilista, uno costruito a tavolino” (tra l’altro gli epiteti fanno seguito a una provocazione lanciata un profilo fake dell’attuale premier)  – non ebbero successo, si sono registrati anche tentativi cuperliani (“Gianni, che rappresenta la sinistra berlungueriana”). Tanto Matteo quanto Gianni avevano troppo fresco il ricordo del trattamento riservato a Pier Luigi. Poi Renzi s’è messo in capo di reggere le sorti del paese, ha avuto bisogno di allargare la base senza guardar troppo per il sottile e l’ha arruolata. Lei lo ha ricambiato mettendo a disposizione la sua eloquenza vellutata: “se fallisce lui, fallisce tutta la nostra generazione”, scordiamoci il passato e via. La passione per l’area moderata li accomuna senz’altro. 

Il suo prossimo compito è dimenticare (e far dimenticare) lo scivolone in Veneto. I già citati maligni dicono che non per caso Renzi l’ha voluta misurare in una sfida impari come quella con Zaia in Veneto. Incassato il risultato alle Europee, lo stop delle Regionali è quel che ci voleva per rintuzzare la spavalderia di Ladylike. Guardando al suo passato, c’è però da scommettere che in questa sconfitta troverà la forza per sposare una nuova battaglia. Le prossime cronache ci diranno se il nuovo settennato lo farà ancora da renziana.

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