Acrid: al cinema il film che parla dell'essere donna

Donne che amano troppo, donne sottomesse ai loro uomini o semplicemente “donne”. Queste le protagoniste del film Acrid, lungometraggio del regista iraniano Kiarash Asadizadeh che racconta la situazione femminile di un Paese che non vuole cambiare. Al cinema dall'11 giugno.

Acrid, primo lungometraggio del regista Kiarash Asadizadeh, narra la storia di quattro donne iraniane che per amore diventano vittime di tradimenti e violenze.


“La donna uscì dalla costola dell'uomo, non dai piedi per essere calpestata, non dalla testa per essere superiore ma dal lato, per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata”. Con questa frase, il poeta inglese William Shakespeare definiva la donna agli inizi del '600. A distanza di secoli, l'importanza della figura femminile nella società non è ancora chiara in molti paesi del mondo; basti pensare che in Italia l'avvio dell'emancipazione delle donne avvenne soltanto nel 1946, quando il gentil sesso fu chiamato per la prima volta alle urne. Ma se nel nostro Paese il cammino delle donne è stato lungo e tortuoso - tanto che nel 2015 la direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde ha riscontrato i costi economici del sessismo (che sottrae all'economia 9 mila miliardi di dollari) -, in altri paesi del mondo le donne vivono ancora ai margini della società, sottomesse al volere dei loro uomini.

Lo sa bene il regista iraniano Kiarash Asadizadeh che nel 2013 crea il suo primo lungometraggio, Acrid. Il film, ambientato a Teheran, narra la storia di quattro donne, tanto diverse tra loro ma accomunate da un sentimento comune: l'amore. Soheila, Azar, Simin e Mahsa devono affrontare la vita quotidiana con i loro uomini in un Paese che non vuole cambiare i suoi ideali. Ma se da un lato cercano di scappare lontano dalla sopraffazione, dall'altro non riescono a tramutare la loro presa di coscienza in azione: Soheila continua a vivere con il marito dottore Jalal nonostante i suoi ripetuti tradimenti. Il medico, dal canto suo, continua a selezionare segretarie non sposate, sino ad assumere Azar che, ormai in rotta con il marito Khosro, ottiene il posto di lavoro omettendo la verità al dottore. Khosro è violento, la picchia davanti ai bambini in lacrime e al tempo stesso prosegue la sua relazione con la professoressa Simin che, anche se indirettamente, vive giornalmente la violenza degli uomini attraverso la sorella, sposata con un uomo alcolizzato e aggressivo. Tra gli alunni di Simin c'è poi Mahsa, giovane innamorata del proprio fidanzato che in cambio la tradisce con la sua migliore amica.

Queste donne coraggiose, dunque, fanno i conti con il tradimento e la violenza, fisica e morale: Acrid, infatti, significa “acre”, “aspro”. E il sentimento che nasce dopo aver visto questo film è proprio quello di una forte amarezza, se si pensa a quante donne nel mondo sono ogni giorno vittime di soprusi. Come Mutlu, la 19enne turca che nel mese di maggio riceve una pallottola alla testa per aver avuto il “coraggio” di partecipare ad un talent show televisivo, incantando il pubblico con la sua voce. O come Malala, la 18enne pakistana già premio Nobel per la pace, che a soli 15 anni è vittima di un attentato per aver cercato di difendere i diritti delle donne contro il regime dei talebani in Pakistan, lo stesso paese in cui un minimo atto di ribellione potrebbe essere punito con l'acido.

“Questo film rappresenta in parte la realtà delle odierne famiglie iraniane. Non si tratta né di una diagnosi né necessariamente di una risoluzione ai problemi. Il film vuole semplicemente essere un avvertimento per quelle famiglie che non sono consapevoli del loro status, non sono consapevoli, fino in fondo, di vivere nella menzogna e influenzare e colpire persone innocenti, vittime di colpe e violenze perpetrate da altre persone”. Queste le parole del regista che con il film (nelle sale italiane dall'11 giugno) spera di penetrare nel cuore del pubblico. Un obiettivo ricercato con una narrativa debole, che rispecchia la staticità di un Paese fermo nelle proprie idee, e con un finale che sembra lasciare col fiato sospeso, perché sospesa è ancora la situazione delle donne.

Copyright foto: Acrid
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