Aborto in Polonia: il dietrofront del Parlamento
Dopo la protesta in nero di migliaia di donne per la difesa del (già risicato) diritto all'aborto, il Parlamento respinge la proposta che voleva abolirlo.
[Aggiornato il 06/10/2016 alle ore 14.55] L'hanno chiamata #CzarnyProtest, la protesta nera. Passerà alla storia come una delle più importanti vittorie del movimento femminista polacco che, al motto di "Annunciamo la morte dei nostri diritti", lo scorso 3 ottobre ha portato in piazza migliaia di donne (e uomini) da Varsavia a Danzica passando per Cracovia. Il Parlamento non ha potuto ignorarle e tre giorni dopo ha ritirato la proposta di legge che voleva vietare del tutto l'aborto, trasformandolo in un vero e proprio reato, con pene fino a 5 anni e una sorta di tribunale dell'Inquisizione incaricato di passare al setaccio gli aborti spontanei.
"Le manifestanti ci hanno fatto riflettere, e ci hanno dato una lezione di umiltà", ha dichiarato Jaroslaw Gowin, ministro di Scienza e Pubblica istruzione; "Non siamo mai stati favorevoli a una politica che punisca le donne", ha aggiunto il deputato di Diritto e Giustizia Tomasz Latos.
Sia come sia, il clamoroso dietrofront è arrivato grazie a quelle migliaia di braccia incrociate che hanno paralizzato il Paese per 24 ore in uno sciopero delle donne ispirato a quello che il 24 ottobre 1975 paralizzò l'Islanda. Allora si voleva rimarcare il ruolo del gentil sesso nella società, oggi difendere la (già risicata) legge sull'aborto che rischiava di essere cancellata dalla proposta dal partito conservatore Diritto e giustizia (Pis) del leader Jaroslaw Kaczynski.
La legge, in discussione da mesi, aveva già scatenato numerose proteste: l'ultima quella nella chiesa di Sant’Anna a Varsavia dove le fedeli avevano abbandonato la navata gridando “scandalo” per coprire la voce di chi, davanti all’altare, leggeva una lettera a sostegno dell’abolizione del diritto all’aborto.
Insomma, la svolta conservatrice voluta dal movimento cittadino Porre fine all’aborto, lanciata in Parlamento dal partito di maggioranza polacco eletto lo scorso 25 febbraio e caldeggiata dalla Premier Beata Szydlo, accusa la sua prima battuta d'arresto.
Non che la legge attuale sull’interruzione volontaria di gravidanza sia libertina: insieme ad Irlanda e Malta è infatti tra le più restrittive permettendola solo in caso di stupro, di malformazioni gravi che renderebbero impossibile la vita al nascituro, o se gravidanza e parto mettono a rischio la sopravvivenza della madre.
Eccezioni che la nuova proposta voleva cancellare, instaurando il divieto assoluto in nome della morale cattolica: "Dobbiamo e vogliamo restaurare il primato dei valori cristiani di difesa della vita, e distanziarci dal comodo mainstream dell’Europa secolarizzata", affermavano perentori gli esponenti e i portavoce del governo. "È la promessa fatta agli elettori, ritorno alle tradizioni cristiane", facevano sapere fonti vicine a Beata Szydlo, il capo di governo donna che, in fatto di diritti delle donne, ha idee un po’ (troppo) conservatrici e pure in fatto di tutela della vita, dal momento che diversi e autorevoli studi in materia hanno rivelato che leggi più restrittiva non fanno che alzare i tassi di aborti clandestini, la prima causa di morte tra le donne in età fertile.
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