Depressione in gravidanza: madre suicida un anno dopo il parto
La depressione in gravidanza l'ha perseguitata anche dopo la nascita del piccolo: Saffie Johnson, inglese sposata a 17 anni, madre a 18, si è suicidata a 19 anni, dopo aver scritto sul diario: "oggi morirò".
La depressione in gravidanza è una brutta bestia: serpeggia, si assopisce, si risveglia, si fa potente, tanto da spingere al suicidio. Saffie Johnson aveva 19 anni, piercing e tatuaggi, capelli castani a volte nascosti dal velo musulmano, occhi grandi e un sorriso a 32 denti: si è impiccata nella sua casa di Wythenshawe, Manchester, Regno Unito. Ha lasciato due biglietti: nel primo spiegava il perché, l’altro è indirizzato a suo figlio, lo leggerà quando avrà 18 anni e la maturità per capire il gesto di una madre troppo giovane, troppo impreparata, troppo depressa per riuscire a continuare a vivere. Una madre che un giorno di ottobre ha scritto nel suo diario rosa “oggi morirò” e l'ha fatta finita. L’ha trovata il fratello, la sera, di ritorno dal college, morta.
Aveva 17 anni quando si è sposata con Daniel Johnson, conosciuto appena due settimane prima. Ne aveva 18 quando è diventata madre. “Ho provato come meglio potevo ad aiutarla a superare la sua depressione in gravidanza e dopo - ha spiegato il marito Daniel, da cui si era separata -, ma la pressione di essere diventata madre così presto è stata troppo per lei”. D’altra parte, come spesso capita, nessuno aveva le chiavi del suo animo che si faceva ogni giorno più nero: “Saffie non ha mai detto a nessuno come si sentiva realmente - ha aggiunto Daniel durante l’inchiesta -, ha detto solo quello che la gente voleva sentirsi dire”. Tuttavia anche se “amava il bambino, era troppo per lei e ha deciso di non combattere”. Di fingere che le cose non andavano poi così male, dall’inizio alla fine.
Perché non era la prima volta che il disturbo la perseguitava ma “la situazione è peggiorata nettamente dopo la nascita del nostro bambino. È diventata paranoica ed era sempre molto giù di morale” dice ancora Daniel. Come ha documentato l’inchiesta, Saffie ha provato a uccidersi più d’una volta: si è avvelenata, ha provato a soffocarsi, “ha anche cercato di annegarsi, ma l'ho salvata in bagno prima che potesse riuscirci”. L’apparente motivo delle sue angosce erano “le nostre finanze: spesso piangeva perché diceva che avevamo troppi mobili, che non guadagnavo abbastanza” ricorda ancora Daniel. Che allora si mette sotto, lavora duro "per fare più soldi, per offrirle una vita migliore”. Ma non basta. “Lei voleva morire, lo ripeteva in continuazione”. E così Daniel getta la spugna.
Per un po’ Saffie ci ha provato, a guarire da quella depressione in gravidanza e dopo, mentre il piccolo iniziava a gorgheggiare, il matrimonio naufragava e lei tornava a casa dei genitori. Ha anche chiesto aiuto: “quando è arrivata era chiaro che era sconvolta - ha raccontato Sandra Kempster, operatrice che l’ha accolta -. Era triste per la rottura del suo matrimonio, e stava lottando per fare pace con la realtà. Era consapevole dei suoi tentati suicidi ma sembrava averli superati, non sembrava pericolosa per se stessa”. Anzi, alla fine della visita Saffie dice di volersi mettere a studiare matematica di base e inglese, “il suo umore era decisamente migliore, rideva e raccontava di suo figlio e di quanto bene le stsse facendo. Mi ha detto che era felice di tornare a casa e che avrebbe partecipato un gruppo di sostegno per le persone affette da depressione”. Parole, soltanto parole. E un vuoto gigantesco.
Copyright foto: Facebook@Saffie Johnson
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