Rebecca, perseguitata da (tutti) i ricordi incastrati nella sua memoria
Rebecca Sharrock, 25 anni, soffre di ipertimesia, la rara sindrome che condanna la memoria a trattenere tutti i ricordi, emozioni comprese.
La memoria è la sua croce e la sua delizia: incastra tutti, ma proprio tutti, gli attimi vissuti trasformandoli in ricordi che non le danno tregua. Rebecca Sharrock, 25 anni e un milione di dettagli in testa, fa parte del tanto fortunato quanto sfortunato gruppo a cui è stata diagnosticata la Highly superior autobiographical, anche nota come sindrome ipertimesica, dal greco ricordare troppo: 80 persone in tutto contese dai ricercatori affascinati da quelle menti, immensi depositi di eventi ed emozioni. Di qualunque natura siano, purché autobiografici: belli, brutti, significanti o meno, profondi o frivoli. Fa poca differenza: le maglie della memoria non lasciano che nulla sia perduto.
Ma soprattutto che nulla sia dimenticato: non solo Rebecca ricorda i libri, i film, le canzoni, le conversazioni a memoria. Il fatto, più complesso da gestire, è che ogni suo ricordo le si ripresenta alla mente accompagnato dalle emozioni che l’hanno contraddistinto. Tradotto: vivere significa essere bombardati dal passato, ricordare significa rivivere, rivivere significa gioire, ma anche soffrire, come quella volta che si è sbucciata il ginocchio quando era solo una bambina dai nonni. Rebecca ha perfettamente chiaro che abiti indossava quel giorno, che cosa le ha detto il nonno, come stava lei e quanto male aveva. Quest’ultimo dettaglio è così impresso da ritornare alla mente con tanto di bruciore, al ginocchio, s’intende.
“Ricordo la mamma che mi sistemava sul seggiolone, ricordo che tempo faceva ogni mio compleanno, ricordo le conversazioni, ricordo ogni singolo sogno che ho fatto in tutta la mia vita”, racconta Rebecca che non conosce altra quotidianità se non quella costellata dal suo passato. Un passato che lievita ogni giorno di più ma, ogni volta che viene rievocato, torna a fare le veci del presente: “Se ricordo la mia torta preferita è come se la mangiassi nuovamente”. Lo stesso vale per tutto il resto, dolore compreso. Una convivenza scomoda, soprattutto di notte, tanto che per prendersi una tregua da se stessa, Rebecca dorme con la radio accesa e la luce soffusa: solo così riesce a non pensare, non rievocare.
Di certo, da quando la sindrome ha trovato un nome, le cose sono cambiate parecchio: fino a 4 anni pensava di essere semplicemente diversa, i suoi genitori temevano soffrisse di autismo, i suoi compagni la prendevano in giro ma alla fine non c’era niente di strano nel portarsi dietro il bagaglio della propria vita puntuale come una cronaca. A scoprirla, per caso, è stata la madre che, attirata da un programma in tv che raccontava la rara sindrome, ha immediatamente riconosciuto le descrizioni che le faceva la figlia.
Da allora Rebecca non solo deve fare i conti con l’attenzione dei medici ma, soprattutto, con la consapevolezza di essere quello che è: un archivio umano di fatti ed emozioni. Una consapevolezza che l’ha spinta a farsi seguire da una psicoterapeuta per non perdere l’equilibrio (psichico) e l’ha aiutata a comprendere il modo in cui il suo cervello percepisce la realtà e a difendersi dai ricordi che ritornano come fulmini a ciel sereno. Oggi Rebecca sopravvive a se stessa, non guarda più il telegiornale e passa molto tempo sui Social alla ricerca di chi come lei, non conosce l’oblio.
Copyright foto: Fotolia/Twitter@Rebecca Sharrock
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