20 giugno: in piazza contro la teoria gender

Da una parte, corsi, teorie e studi gender. Dall'altra, un'iniziativa che va contro la categorizzazione del genere e contro l'ideologia. Ma qual è il significato della manifestazione del 20 giugno?

Non solo una teoria sociale. Nel tempo quella sul genere è diventata un'arma di scontro per interessi di parte, più o meno dichiarati.


La questione è complessa perché tocca corde profonde. E il tuffo doppio carpiato con il quale si affronta il tema, certo non aiuta a fare chiarezza. Né togliere il dubbio che, dietro una bandiera, sventolino altri interessi. Leciti, per carità, ma non palesi.

Fino a qualche tempo fa, se interrogato, qualcuno avrebbe riposto che la categoria "genere" era quella che veniva richiesta al momento di fare il check-in online del proprio volo, o all'atto di compilare il questionario per un certificato del comune. Oggi, complici proclami, dibattiti tv e manifestazioni, sappiamo che c'è altro. Il punto è che, attraverso differenti teorie sociali e culturali, ci si è spostati da una identificazione del termine "genere" come riferito solo alla sessualità anatomica di una persona, a quella che è invece la percezione che ciascuno ha di sé. Il che, ovviamente, è stato liberatorio, e ha permesso a molti di uscire da difficili ruoli prestabiliti. Ma anche problematico, perché si tratta di un ambito sul quale, essendo legato ad un valore e una visione profonda e personale, è per definizione terreno incerto. Di cui si torna ora a parlare, complice la manifestazione in programma per il 20 giugno prossimo in piazza San Giovanni a Roma, dichiaratamente "in difesa della famiglia naturale e contro teoria del gender". Che c'entrano le due questioni? La teoria del genere è ora una coperta corta, tirata da più parti. Chi la attacca, accusa i suoi sostenitori di tentare di creare un sesso indefinito, che neghi le differenze tra uomini e donne. Chi la difende, parla di libertà di scelta del proprio orientamento sessuale, indipendentemente dalle differenze biologiche.

E qui, la realtà: da una parte i movimenti in difesa dei diritti di omosessuali, lesbiche e transgender rivendicano il diritto a nuove forme di identità e negano ogni accusa di forme di indottrinamento sul tema. Dall'altra, in questo caso, i promotori della manifestazione, contrari a quello che considerano un indifferentismo sessuale e il rischio di ideologizzazione, a partire dalla scuola, da dove, sostengono, viene diffusa la teoria del genere. Già perché dietro la manifestazione del 20 giugno c'è il Comitato Difendiamo i nostri figli che, hanno precisato "non ha nulla a che fare con il Family Day, ma è una cosa nuova, né tantomeno è una manifestazione contro qualcuno o contro le persone omosessuali ma propositiva sulla bellezza della famiglia". E nonostante la Cei non aderisca, i movimenti cattolici si sentono vicini ai promotori, complici le posizioni passate del cardinal Bagnasco e di Papa Francesco.

Il risultato finale? Da una parte chi grida che, dietro la bandiera del genere, si nasconde il subdolo tentativo di un riconoscimento delle famiglie gay in Italia. Dall'altra chi grida che, dietro la bandiera del genere, si nasconde il subdolo tentativo di un non riconoscimento delle famiglie gay in Italia. Di mezzo, una teoria, per alcuni una ideologia, per molti un tema di studio complesso. Complesso quanto il genere umano.
 
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