Atlete indiane cercano di uccidersi con i semi dell'"Albero dei suicidi"
In India quattro atlete 15enni hanno ingerito i semi dell'"Albero dei suicidi": una è morta, le altre sono ricoverate in gravi condizioni. Sotto accusa gli allenatori che le avrebbero punite per un po' di birra.
Che la vita dell’atleta sia dura, non è una novità. Che il rapporto con l’allenatore sia spesso complicato, altrettanto. Prima d’ora, però, non era mai successo che si arrivasse al suicidio per far scoppiare un polverone. È accaduto in un ostello dell’Authority degli Sport dell’India, dove quattro atlete 15enni di kayak e canottaggio - una di loro aveva recentemente vinto una medaglia d'oro ai Giochi Nazionali - hanno mangiato il frutto dell’”albero dei suicidi”, quello in grado di fermare il battito del cuore. Meglio morire che sopportare i trattamenti che, affermano ora i familiari, erano costrette a subire. Una di loro è morta, le altre tre sono ricoverate in gravi condizioni.
Prima di ingerire i semi di quello che gli esperti conoscono come dell'Othalanga - una pianta che cresce solo in Kerala e in Sri Lanka -, le ragazze avrebbero firmato un biglietto d’addio. Le informazioni sono confuse: in un primo momento sembrava volessero accusare un allenatore di molestie ma poi il sovrintendente della polizia del distretto di Alappuzha, Suresh Kumar, ha chiarito che nella nota delle giovani c’era il riferimento alla punizione per un “piccolo errore commesso dalle ragazze, per cui erano state ammonite”. Stando a quanto dichiarato dal personale del Centro di addestramento avrebbero bevuto un po’ di birra. L’Hindustan Times racconta che Aparna Ramabhadran, l’atleta il cui cuore si è fermato, ha scritto che "a colpe lievi" è stata attribuita "un'importanza ingiustificata".
A sentire i familiari di Aparna che hanno rilasciato una dichiarazione all’emittente televisiva indiana Ndtv, “le ragazze non erano in grado di sopportare le torture fisiche e mentali” dei loro allenatori, aggiungendo che, nei giorni precedenti, la figlia era stata colpita alla schiena con un remo.
Accuse che il Centro Sportivo nega, promettendo di fare chiarezza sulla vicenda: “Se emergeranno mancanze da parte nostra - ha annunciato il direttore generale dell'Autorità Sportiva indiana, Injeti Srinivas in conferenza stampa - o saranno individuati dei colpevoli, prenderemo i più severi provvedimenti”. E ancora: "Abbiamo 10mila ragazzi in nostra custodia, sono sotto la nostra tutela e se nelle nostre sedi avvengono incidenti come questo, è una vicenda seria per noi". Nel frattempo anche il ministero dello Sport ha annunciato che aprirà un’inchiesta rigorosa per accertare eventuali responsabilità. Intanto, dalla struttura sportiva che ospitava le giovani, le accuse vengono rispedite al mittente: "Nessuno in questo ostello ha torturato le ragazze", ha dichiarato al Times of India il guardiano del dormitorio.
Ma del suicidio di gruppo resta lo sgomento delle vite spezzate. Vite di ragazze promettenti e privilegiate in un paese dove nascere al posto giusto è un terno al lotto. E dove lo sport rappresenta per migliaia di ragazzi indiani una via di fuga verso un futuro migliore, lontano dalla povertà. Così era anche per Aparna, cresciuta in un villaggio rurale, in una famiglia dove l’unico stipendio era quello che riusciva a mettere insieme la madre, operatrice sanitaria della comunità: "La povertà era la sola ragione per cui Aparna si allenava al centro sportivo - ha raccontato al New York Times sua cugina, Lincy Viju -. Non avrebbe potuto aver nessun altro lavoro".
Una morte atroce che però deve fare riflettere perché Aparna e le sue amiche, non sono le uniche giovani donne ad aver cercato la morte con i semi dell'Othalanga. Nel 2012 ci avevano provato sette ragazze iscritte a un'accademia del Kerala: avevano saltato alcune lezioni e non hanno retto la paura della punizione.
A questo punto non resta che sperare che le tre ragazze ricomincino a vivere e trovino la forza di vincere quella paura che è stata più forte della paura di morire.
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