Camille, Florence e Alexis: il ritratto dei tre campioni
È una Francia in lutto, incredula e composta, quella che oggi reagisce alla notizia dell'incidente in Argentina che ha ucciso almeno dieci persone. Erano a La Rioja chi per partecipare, chi per lavorare al reality show francese Dropped, una prova di sopravvivenza stroncata ancora prima di cominciare da uno scontro tra elicotteri avvenuto per cause che, al momento, sono ignote. Tra le vittime ci sono tre sportivi molto noti in Francia: c'è Camille Muffat, medaglia d’oro di nuoto, c'è Florence Arthaud, velista che ha battuto il record della traversata dell’Atlantico Nord in solitario e c'è Alexis Vastine, il pugile medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Pechino, nel 2008.
Era tosta, Camille Muffat. Una che lottava per vincere, e vinceva. Una che a ventidue anni portava a casa tre medaglie dalle Olimpiadi di Londra - l'oro nei 400 metri stile libero, l'argento nei 200 metri stile libero, e il bronzo con la staffetta 4x200 stile libero -; una che ha continuato a vincere finché ne ha avuto voglia. E poi, come solo i grandi campioni possono permettersi, ha avuto il coraggio di lasciare la scena all'apice del successo, dalla sera alla mattina, senza troppe spiegazioni, per vivere la vita che un agonista vero è costretto a mettere tra parentesi. Ai tempi si mormorò che all'origine del ritiro ci fossero divergenze con il suo allenatore, Fabrice Pellerin, ma lei fu tanto laconica quanto definitiva.
"Ho preso una decisione, lascio il nuoto per motivi personali'', fu l'unico commento rilasciato all'indomani dell'improvviso ritiro, l'anno scorso, a un mese dall'inizio dei Campionati europei di Berlino, lasciando campo libero nei 200 e nei 400 stile libero all'agguerrita rivale Federica Pellegrini. Atleta che in quell'occasione cinguettò: ''Dispiace perdere un'avversaria così forte...Bonne chance pour ta vie future" e che oggi affida a Instagram il suo cordoglio. "Parfois, la vie ne est pas juste" (A volte la vita non è giusta) scrive Federica, che infila nel post una faccina con le lacrime e una foto insieme all'avversaria, quando entrambe erano sorridenti, a una manifestazione di nuoto.
Anche Filippo Magnini, il campione azzurro di nuoto nonché promesso sposo della Pellegrini, ha espresso il suo dolore con un post su Twitter: "R.I.P. Camille Muffat. Morire a 25 anni è una cosa assurda! Condoglianze alla famiglia" accompagnato dalla foto che ritrae la Muffat sul podio con la bandiera transalpina. Alla spicciolata tutto il mondo dello sport cerca le parole per esprimere un dolore così forte e inaspettato che ha rapito una stella troppo giovane per morire. Una stella che quando decise di ritirarsi lo fece perché "penso di essere abbastanza curiosa per esplorare qualcos'altro - rivelò alla stampa -. Il corpo avrebbe potuto sopportare altri 10 anni, ma io sono padrona della mia vita". Una vita che, come ha detto bene Federica, a volte non è giusta.
Perché non avrebbe dovuto portarsi via nemmeno la 57enne Florence Arthaud, l'eterna "fidanzata dell'Atlantico", pioniera della vela al femminile che nel 1990 aveva lasciato il mondo a bocca aperta vincendo a soli 22 anni la Route du Rhum, la traversata in solitaria dalla Francia all'isola d'Oltremare della Guadalupa. Anche Florance era una tosta. Una che di professione scampava alla morte. Come nel 2011 quando se non fosse stato per la lampada frontale e il telefono cellulare impermeabile che aveva con sé, sarebbe morta dopo una caduta in mare al largo di Cap Corse, in piena notte. D'altra parte la sua abitudine alle sfide è stata allenata a lungo in quegli anni Novanta passati a gareggiare per diventare una delle protagoniste delle grandi sfide velistiche. Fino alla nuova vittoria, ottenuta con il team di Bruno Peyron, alla Transpacifica del 1997. Anche Florance era una che non aveva paura di dire quello che pensava, soprattutto se in ballo c'era la discriminazione degli sponsor "quando si tratta di affidare una grossa barca a una donna". Vedi nel 2010, quando gli armatori di un potente catamarano preferirono un velista maschio alla fidanzata dell'Atlantico.
E poi c'è lui, Alexis Vastine, ventotto anni, originario dell'Alta Normandia, il "pugile maledetto" dichiarato sconfitto per una decisione arbitrale discussa e discutibile ai quarti di finale del torneo olimpico di Londra 2012 aveva commosso la Francia con le sue lacrime. Lacrime che avevano echeggiato quell'altra volta, a Pechino 2008, dov'era stato protagonista di un'altra eliminazione controversa, e gli era toccato accontentarsi della medaglia di bronzo. Anche se Vastine cercava il riscatto a Rio de Janeiro, il suo corpo e la sua mente erano ai ferri corti: "Dopo Londra aveva attraversato una depressione, e poi si era infortunato più volte - ricorda un dirigente della Federboxe francese - Alexis faticava a rilanciare la sua carriera".
Insomma, è stata "una vera tragedia", per dirla usando le parole del presidente del Coni, Giovanni Malagò.