La maternità non dà (solo) la felicità

"Tanta gioia nessun piacere. Quando le mamme non si divertono" è il titolo del libro di Jennifer Senior che rompe un tabù: avere un figlio non è sinonimo di felicità.

Essere una mamma infelice non è più un tabù.


È il mestiere più difficile e il più bello. Prima del parto, i futuri genitori se lo sentono ripetere in continuazione. Come il fatto che s'insegni ma è più quello che s'imparerà. Che le rinunce non peseranno mai quanto le soddisfazioni. Che le notti in bianco si dimenticano. Che, che, che. Poi la creatura nasce e tutto cambia. Il nuovo lavoro è sette giorni su sette ventiquattr'ore su ventiquattro. Sfiancante. E gratis. Anzi no, - si correggono tutti i genitori, un po' imbarazzati un attimo dopo averlo pesato -, basta un sorriso, una manina che ti accarezza la guancia e tu ti senti milionaria.

Le mamme moderne, quelle che allevano prole e intanto lavorano e nel frattempo aprono pure i blog a tema, lo raccontano da anni. Come Anya che, insieme ad altre due giovani mamme, Morna e Klarissa, ha aperto 50 sfumature di mamma: "abbiamo deciso di raccontare la maternità in maniera ironica e senza peli sulla lingua. Eravamo stanche delle talebane della tetta, di discorsi come "adesso che sono madre la mia vita ha finalmente un senso", ecc ecc. Certo, essere madri è bello, bellissimo, ma a volte bisogna ammettere che certe cose non ci piacciono proprio, soprattutto non ci piace quando le mamme fingono. Non c'è bisogno di fingere" sostiene convinta Anya, trentaduenne che si occupa di moda e bellezza, ha due figlie e vive a Parigi. Ma non solo, continua: "si può dire che non ci piace allattare, se così è, si può dire che vorremmo scappare all'ennesimo capriccio, si può dire che ci pesa non avere più la vita di prima. Sono pensieri e sentimenti comuni a molte (o a tutte?), quindi perché non parlarne liberamente, senza vergogna e senza tabù?". È con questo spirito che nel blog è stata aperta la sezione Comitato di Liberazione della Mamma: "per tutte quelle donne che, arrivando impreparate alla nascita del figlio, si ritrovano a fare i conti con una favoletta disillusa".  

Insomma, la fatica (mostruosa) di essere (e soprattutto di fare) la madre non è più un tabù. Soprattutto ora che è uscito il libro di Jennifer Senior dal titolo Tanta gioia nessun piacere. Quando le mamme non si divertono (Rizzoli). La nota firma del New York Times è andata dritta al sodo, si è chiesta in che modo i figli influenzino la vita dei genitori, ha messo nero su bianco quello che le madri riescono solo a pensare ma guai a dirlo ad alta voce, e ha scatenato un putiferio. Prevedibile, in tempi di soccer mom, ovvero le "mamme calcio" che scorrazzano i figli ovunque, sempre a scapito dei loro interessi, secondo cui la tesi è inaccettabile. "Ma come può - si sono domandate indignate - una mamma come lei dire che l'arrivo del pargolo le sconvolge l'esistenza pur ammettendo che quel piccolo terremoto è la luce dei suoi occhi?". Può, eccome. 

Anya conferma e sottoscrive: "Il miglior compromesso probabilmente non esiste, quello in cui noi saremo soddisfatti al 100%, come genitori e come individui. Se lavoriamo, ci sentiamo in colpa. Se non lavoriamo, ci sentiamo fallite. E questo vale per tutto. Diventare genitori cambia completamente la vita di una donna (di un uomo un po' meno, ammettiamolo), ma l'abbiamo voluto e possiamo farcela, magari proprio con un po' di quell'ironia che ci mettiamo sempre noi. Se una sera - continua la blogger - li infiliamo a letto mezz'ora prima e ci scoliamo un litro di birra davanti a Breaking Bad non succede niente, no? E nemmeno se usciamo, veramente! Il senso di colpa è stato creato da qualcuno che voleva farla pagare a qualcun altro: partiamo dal principio che non stiamo facendo del male a nessuno, ma stiamo facendo solo del bene. Abbiamo messo al mondo un bambino e lo stiamo crescendo. Esiste dono più grande? Altro che senso di colpa!". 

Ecco perché il libro della Senior farà parlare di sé, perché esprime quello che sono in tante a sentire ma che in poche hanno il coraggio di dire ad alta voce. Con lei tutto ebbe inizio nel 2010 quando pubblicò sul New York Magazine un articolo dal titolo Why parents hate parenting (perché i genitori odiano fare i genitori) in cui raccontava la sua esperienza di mamma di un bimbo di 2 anni, suggerendo che, pur adorando i pargoli, ci si diverte sempre meno a crescerli. Risultato: la sua casella di posta esplose e le fu chiaro fin da subito quanto la nuova generazione di mamme e papà fosse suscettibile al tema. "Non siamo più egoisti - ha poi spiegato l'autrice al New York Times - ma negli ultimi decenni i cambiamenti sociali e tecnologici sono stati così radicali che il mestiere di genitore è cambiato diventando un'esperienza più frustrante e impegnativa di quella dei nostri nonni, dei nostri genitori". 

D'altronde, spiega ancora il libro, in passato era scontato avere un figlio, oggi è una scelta. Oggi tocca rinunciare a molte più cose di un tempo, perciò "la percezione forte di quel che si perde, in termini di libertà e autonomia" è più marcata. Poco cambia quando i pargoli crescono. Anzi, è ancora peggio: "Interagire è difficile, farsi obbedire impossibile". Una soluzione c'è, ed è più che altro una sfida: "prendere coscienza del cambiamento. Studiare nuovi metodi educativi".

Anya una ricetta ce l'ha: "care future mamme, decidete fin dall'inizio che tipo di mamma volete essere. Ma fatelo quando avrete il vostro bimbo tra le braccia, perché la sua nascita potrebbe portare via in un soffio tutte le vostre certezze!


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