Attentato al concerto di Ariana Grande: 3 bimbi tra le vittime
Attentato kamikaze al concerto di Ariana Grande nell'Arena di Manchester: i feriti sono 59, le vittime accertate 22, tra loro tre bambini, e i dispersi almeno 8.
Manchester è avvolta da una coltre di silenzio dopo il rumore - sordo, improvviso, inaspettato, orrendo - della bomba esplosa nella serata di lunedì 22 maggio quando, all’interno della Manchester Arena, dopo il concerto di Ariana Grande, un kamikaze ha azionato il suo congegno di morte uccidendo 22 persone (tra cui tre bambini) e ferendone almeno altre 59. Tra loro bambini, adolescenti, giovani, ragazzi, ragazze, cattolici, musulmani. Tra loro adolescenti truccate, giovani ben vestiti, ragazzi in jeans, ragazze in scarpette da ginnastica. Tra loro, insomma, chiunque perché l’odio ingiustificato non fa distinzioni di età, di etnia, di sesso. L’odio è cieco, l’odio è crudele, l'odio non guarda in faccia nessuno.
L’esplosione è avvenuta poco dopo i saluti ai fan di Ariana Grande che, nell’impianto da 21mila posti, aveva appena terminato il suo concerto. Un concerto attesissimo, quello della popstar statunitense, un concerto che era la prima tappa di un tour europeo che, adesso, assume i contorni dell’incertezza (secondo Tmz potrebbe essere annullato) mentre la cantante fa sapere via Twitter di essere “broken”, “rotta”. “From the bottom of my heart - scrive - I am so so sorry. I don't have words” (“Dal profondo del mio cuore sono mortificata, non ho parole”).
E mentre l’artista, attrice, cantante nonché indiscusso idolo dei teenager di tutto il mondo, preferisce tacere, sui social si moltiplicano, invece, le parole e le richieste d’aiuto di chi cerca di mettersi in contatto con chi è ancora disperso. Il bilancio, per ora, è di 22 vittime, 59 feriti e 8 dispersi.
L’attentatore - fa sapere la polizia che preferisce non divulgare troppe informazioni perché “l’indagine è aperta” - era uno, ha agito da solo, probabilmente è tra le vittime, quasi certamente ha già un nome e un volto, con ogni probabilità fa parte di quei gruppi della morte che adesso, via Internet, festeggiano la strage. Un festeggiamento macabro e già visto, un festeggiamento che lascia senza parole, aggiungendo sofferenza a sofferenza.
Dagli attentati di Parigi al camion sulla folla di Nizza, dalla follia omicida del “lupo solitario” di Londra fino ai fatti di Bruxelles la domanda resta sempre la stessa: “perché?”. Perché in una notte di divertimento qualcuno decide volontariamente di farsi portatore di morte? Che cosa pensa quel qualcuno mentre riempie il suo zaino di esplosivo e chiodi? Che cosa prova, questa persona, quando varca i cancelli circondato da quegli estranei che ha deciso, volontariamente, di uccidere? Qual è la sua sensazione mentre si posiziona tra la folla? Come guarda, quel qualcuno, chi gli sta accanto sapendo che né lui né loro vedranno l’alba del giorno successivo?
Domande che restano, ancora una volta, senza risposta. Domande che stringono il cuore di quei genitori che speravano per i figli una serata, una vita, diversa. Domande che si deve porre anche chi legge di questi fatti dal suo posto sicuro di una vita apparentemente distante. Domande che ci riguardano tutti. Domande che ci lasciano, tutti, “broken”.
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