Acropoli di Atene: no a Gucci. Agrigento: venga nella Valle dei Templi
Atene nega il permesso a Gucci di sfilare sul Partenone e Agrigento coglie l'occasione: "Venga nella Valle dei Templi", suggerisce il sindaco Firetto.
Atene rimbalza Gucci e Agrigento prende la palla al balzo. L'Acropoli non vuole la sfilata? La ospitiamo noi, risponde la Valle dei Templi. È la storia che si ripete, è la "più bella città dei mortali" (parole di Pindaro, poeta greco del 500 a.C.) che sfida la capitale. Con tanto di stoccata: "L'archeologia ad Agrigento non è statica - dice il sindaco Calogero Firetto -, ma pulsa di vita, attraverso la creatività di uomini e donne, che nell'arte, nella poesia, nella letteratura, nella scienza, nelle attività produttive, con un carattere fortemente innovativo e nel rispetto dei luoghi, riescono a legare magicamente classicità e contemporaneità". Insomma, molto orgoglio e nessun pregiudizio, non c'è niente di male a concedere 15 minuti di sfilata in uno dei palcoscenici più suggestivi del mondo, dichiarato dall'Unesco patrimonio dell'Umanità: "per Agrigento e per Gucci - aggiunge - sarebbe un'opportunità: il reciproco vantaggio è abbastanza ovvio".
La querelle che ha schierato la Maison fiorentina da una parte e l'acropoli di Atene dall'altro, approda sulle coste della Magna Grecia. E poche ore dopo le dichiarazioni del direttore del Museo greco Dimitris Pantermalis - "Non abbiamo bisogno di pubblicità” - e quelle della Commissione archeologica centrale greca (Kas) che ha negato il permesso - "Il valore e il carattere dell'Acropoli è incompatibile con un evento di questo tipo" -, il sindaco di Agrigento fa sapere che "l'orgoglio verso il nostro passato si esprime ogni giorno in un paesaggio vivo e non imbalsamato, pronto ad accogliere tutto ciò che rappresenta la cultura contemporanea ad alti livelli, in Italia e nel mondo". Da Firenze, a parte la smentita sui milioni di euro (57, compresi i diritti), ancora nessuna risposta.
Certo, non è Gucci che avrebbe potuto risollevare l’Acropoli, tuttavia, in un Paese dove negli ultimi anni la crisi si è mangiata un quarto del Pil, le pensioni dei più deboli, alcuni servizi sanitari e migliaia (milioni?) di posti di lavoro forse un pensierino in più potevano farcelo. Magari ispirandosi ai laici britannici che l’anno scorso fecero sfilare Gucci nei chiostri dell’abbazia di Westminster senza offendere nessuno, anzi. O magari ai loro antenati che nel 1951 accordarono a Christian Dior il permesso di sfilare tra le colonne del Partenone e, in tempi più recenti, a Lufthansa e Coca-Cola quello di girare spot e a Hollywood di presentare uno 007.