Dalida: la vita della cantante francese in un film
In prima serata su Rai1, il 15 febbraio, va in scena Dalida, la vita della diva franco-italiana da 170 milioni di dischi, morta suicida nel 1987.
Dalida in un film: con il volto di Sveva Alviti, la vita della diva franco-italiana nata nel 1933 in Egitto da genitori calabresi che ha fatto fortuna (anche) in Francia, che ha amato (anche) Luigi Tenco, che ha venduto (oltre) 170 milioni di dischi in tutto il mondo, va in scena su RaiUno, in prima serata, il 15 febbraio.
Al secolo Iolanda Cristina Gigliotti, Dalida - per il nome d’arte s’ispirò a Sansone e Dalila, il film del 1949, salvo poi ascoltare lo scrittore Albert Machard che le suggerì di sostituire la “d come Dio Padre" - era una donna fragile, talentuosa, bellissima. A 17 anni fu eletta Miss Egitto e le si spalancarono le porte del cinema che dall’Africa la traghettarono a Parigi, dove sbarcò nel 1954. La città che l’adottò, l’idolatrò e infine la seppellì, a soli 54 anni: “Pardonnez-moi, la vie m'est insupportable” (Perdonatemi, la vita mi è insopportabile) scrisse il 3 maggio 1987 quando, per la terza volta tentò il suicidio, riuscendoci.
“C’era un dualismo di fondo in lei, come in ogni donna, credo - ha spiegato Sveva Alviti in un’intervista a La Stampa -. Era Iolanda, donna fragile, che amava amare, frustrata nei rapporti con gli uomini e nel desiderio di una famiglia e dei figli. Ed era Dalida la star, che si nascondeva dietro a una maschera e che l’amore del pubblico rendeva, solo apparentemente, forte”.
La sua vita fu tumultuosa e turbolenta: derisa da bambina, in contrasto con il padre durante l’adolescenza, amò e fu amata non solo dal suo pubblico. L'amò suo fratello, Orlando (che nel film ha il volto di Riccardo Scamarcio), che le fece anche da manager: a lui spedì l’ultima lettera prima di morire e lui, più di chiunque altro, ha voluto questo film (che in Francia è uscito al cinema sbancando il botteghino). E l'amò Lucien Morisse (Jean Paul Rouve), il suo primo produttore discografico: i due si sposarono dopo 6 anni di storia più o meno clandestina (quando si conobbero lui era sposato). Le nozze durarono solo un anno ma i due restarono ottimi amici, tanto che il suicidio di lui segnerà profondamente la vita di Dalida. E infine l'amò Luigi Tenco (Alessandro Borghi).
Molto si disse della loro relazione. S’insinuò che fosse una trovata commerciale. E invece i due si amavano veramente: fu lei a trovarlo, morto, nella stanza dell’hotel di Sanremo, nel 1967. Insieme avevano cantato Ciao amore ciao sul palco dell’Ariston; la giuria li aveva eliminati dalla finale. Lui, sconfortato, si era rifugiato in camera, lei insospettita, era andata a cercarlo. Il resto è cronaca. Quello che si sa meno è che Dalida tornò a Parigi, si rifugiò all’hotel Prince de Galles nella stanza in cui lui amava soggiornare e s’imbottì di barbiturici. La salvò per caso una cameriera.
Nel film c’è la disperazione e la rinascita, c’è Dalida che resta incinta di Lucio, uno studente molto più giovane di lei, abortisce (ai tempi era illegale e quindi l’operazione è clandestina) e diventa sterile. C’è lei che “ho 34 anni, sono senza amore, senza speranza, senza figli”, e a Lucien che le risponde “Tu stai dando speranza a milioni di persone” domanda “e a me, chi la da?”.
Non riuscirà a dargliela nessuno. Nemmeno l’ultimo uomo della sua vita, Richard Chanfray, anche lui morto suicida nel 1983, insieme alla sua nuova compagna, al termine della loro relazione durata 9 anni, la più lunga della sua vita. Dalida torna in Africa, cerca se stessa ma non si trova mai, se non nella depressione che ha scansato un anno dopo l’altro.
Il 2 maggio del 1987 decide che è ora di farla finita. Chiama suo fratello, rinvia un servizio foto, gli spedisce una lettera e invece di andare a teatro, come disse a una cameriera, va nel suo appartamento sulla Butte di Montmartre, in rue d'Orchampt, scrive un biglietto d’addio, ingoia un boccettino e chiude gli occhi. Per sempre. E diventa immortale.