Bambole Furga: storia delle amiche delle bambine del Novecento
Con il corpo di cartapesta e la testa in porcellana biscuit, le bambole create alla fine dell'Ottocento dall'ingegno di Luigi Furga Gornini hanno accompagnato il Novecento. Oggi sono da collezione.
La prima bambola d’Italia nasce dall’intuito di uomo. Si chiamava Luigi Furga Gornini, era un mantovano classe 1828 di sangue nobile che, nei periodi di vacanza, amava trascorrere il tempo nella sua dimora a Canneto sull’Oglio. Fu durante una delle sue trasferte che negli anni Settanta del 1800 conobbe un certo Ceresa, un operaio di ritorno dalla Germania che aveva imparato a modellare la cartapesta. Furga s’innamora della tecnica e inizia a sfornare una miriade di maschere dai volti, espressioni e colori più diversi. Il successo non arriva ma la tenacia non li abbandona, Furga cambia soggetto, s’inventa le bambole, perde per strada il socio ma la scommessa dà i suoi frutti: le sue diventano il sogno delle bambine.
Bambola Furga: cartapesta e porcellana biscuit
Con il corpo di cartapesta e la testa di cera le bambole sono però troppo fragili. Per questo Furga fa le valigie e parte per la Germania per apprendere i segreti della porcellana biscuit, vetrata, perfetta per le sue piccole creature dagli occhi dipinti o in vetro, i capelli di morbida lana mohair, braccia e gambe snodate e abiti semplici. Quando, nel 1905, Luigi Furga muore, sua figlia Carlotta, nota come la “signora Lina” prende le redini dell’azienda e, terminata la Prima Guerra Mondiale che aveva interrotto l’importazione della porcellana biscuit, apre a Canneto la Ceramica Furga (1922) e consacra al successo le bambole che dietro la nuca portano il marchio di Furga-Canneto sull’Oglio-Italy. Ma non solo: dallo stabilimento escono anche i pupazzi, le trottole, i servizi da cucina e mobili in miniatura per il gioco.
Quando poi, nel 1919, della torinese fabbrica Lenci escono le bambole in feltro la Furga inizia a produrre esemplari in cartapesta o in cartone pressato poi ricoperti di panno, alcuni anche adornati con abiti in organza di lino. Insomma, per la felicità delle bambine, la concorrenza migliora la qualità.
Anni 50, 60 e 70: le bambole Furga fanno la storia
La Seconda Guerra Mondiale sembra mettere tutto in stand by: per Decreto Ministeriale, il 3 ottobre 1942 fabbricare giocattoli diventa vietato e le bambole sembrano destinate all’oblio. Così non è perché l’azienda continua a sfornare qualche modello oltre a giostre, animali, pupazzi e mobili in miniatura, tanto che nel 1946 ha la forza di acquistare i diritti della Trudy la prima bambola che dorme, piange e ride. Il successo è travolgente.
Sul mercato arrivano Pigi - il famoso pupazzo meglio noto come “il musichiere” che si trasforma nel regalo ai concorrenti dell’omonimo gioco musicale televisivo -, poi Andrea e Poldina, la coppia di gemelli e quindi Tonino, il bebè con gli occhi a fessura che, seduto sul seggiolone, reclama il pranzo battendo il cucchiaio sul piatto vuoto. Le bambole che escono da Canneto sull’Oglio sono una rivoluzione: camminano, parlano, ridono, piangono, incantano una generazione di bambini. Alla cartapesta subentra prima il polietilene (1954) poi il vinile (1956), le creature diventano lavabili e le vendite s’impennano.
Tanto più che, con l’avvento degli anni Sessanta, le Furga vanno di pari passo con l’emancipazione delle donne: arrivano le bambole adolescenti, dai corpi acerbi, le gambe lunghe e i morbidi capelli da pettinare; poi quelle ispirate a cantanti e attrici, corredate di abiti e accessori da sfoderare a seconda delle occasioni per sancire una nuova e finora sconosciuta femminilità.
La crisi arriva negli anni Settanta: nel 1976 la famiglia perde il controllo dell’azienda, l’anno dopo subentra la Grazioli spa ma la concorrenza delle multinazionali è spietata e nonostante il tentativo riproporre alcuni famosi modelli del passato, nel 1992 la Luigi Furga & C. chiude i battenti e della gloriosa azienda resta solo la linea della Grazioli.
Otto anni dopo, però, il controllo va alla bergamasca GioStyle e delle migliori amiche delle bambine del Novecento non resta che il ricordo. “Scompariranno del tutto le bambole - scrive un articolo della Gazzetta di Mantova del 2 marzo 2000 -, visto che è insostenibile la concorrenza del Far East, ma questo addio era già nell’aria da tempo, e infatti da almeno un anno l’azienda mantovana non produceva più i suoi storici pezzi originali, concentrata a vendere le rimanenze o ad assemblare pezzi comprati in Oriente”. Un ricordo che ora fa impazzire i collezionisti, oltre a tutti quelli che sono stati bambini (e soprattutto bambine) un secolo fa.