La bellezza di una donna (paga): make-up free è un’utopia

Secondo una ricerca americana non solo la bellezza di una donna ma soprattutto l'attitudine a prendersi cura del proprio corpo determina stipendi più alti.    

Alicia Keys, promotrice del movimento nomakeup si presenta ormai ai red carpet senza trucco.

La bellezza di una donna acqua e sapone? Una sfida che (per ora) si ritorce contro le donne. Per lo meno stando alla ricerca dei sociologi Jaclyn S.Wong e Andrew M.Penner, rispettivamente dell’università di Chicago e della California Irvine dal titolo Gender and the returns to attractiveness secondo cui più una donna cura il proprio corpo più guadagna.

Bellezza di una donna (al naturale)

Per la serie: solo star come Alicia Keys e colleghe (da Julia Roberts a Drew Barrymore passando per Sharon Stone e Cameron Diaz) possono permettersi di non truccarsi al motto di “Non voglio più nascondermi. Non la mia faccia, non la mia mente, non la mia anima”.  Perché anche se il movimento fa sempre più rumore e le donne stufe di make-up e ritocchi si stanno diffondendo a macchia d’olio contagiando l’opinione pubblica attraverso spot provocatori e hashtag (#nomakeup, #makeupfree e #nomakeupmovement in testa), ma anche bellezze curvy (ormai sdoganate) e pubbliche proteste (l’ultima quella di Miss Islanda 2015 che si è rifiutata di dimagrire per un concorso di bellezza) la ricerca a stelle e strisce dimostra che non solo le persone più attraenti - a prescindere dal sesso - guadagnano di più ma anche che le donne che si dedicano al grooming, al trucco e parrucco - a prescindere dalla loro bellezza - sono ripagate. Tradotto in guadagno annuo: una donna non bella ma curata porta a casa 37 mila dollari, viceversa, una bella ma poco curata si ferma a 24, una per nulla curata a 22 mila (scarsi).

Gender tax: investimento redditizio

Insomma, suggerisce la ricerca, spendere in cosmesi è un investimento. Che va a vantaggio, anzitutto, del settore, visto che, ovunque nel mondo è più oneroso per le donne: la discriminazione femminile è così diffusa negli scaffali delle profumerie e dei supermercati da essersi guadagnata l’epiteto di gender tax. Se le cittadine americane, pur facendo attenzione, spendono il 20% in più degli uomini, in Italia, secondo uno studio di idealo, la pink tax è al 7%. Il che, però, non danneggia il settore che, nonostante la crisi gode di ottima salute con una crescita del 2,2% annua e il settore “cura del corpo” che domina le vendite.

Insomma, un circolo vizioso che, però, va spezzato. Per esempio richiedendo “curriculum senza foto” suggerisce Irene Tinagli, economista e parlamentare. Di certo rafforzando la fiducia di coloro che si sentono meno attraenti, come raccomanda lo studio americano. “Credo che i datori di lavoro abbiano la responsabilità di valutare quanto l’aspetto fisico influenzi il giudizio che hanno sulla qualità del lavoro di una persona, soprattutto se è una donna”, riflette Jaclyn S.Wong. Una valutazione che chiede alla ragione di prevalere sull’istinto, naturalmente attratto dal bello. Operazione difficile ma non certo impossibile.

 

Copyright foto: Kika Press

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