Giovanni Falcone e Francesca Morvillo: insieme fino e oltre la morte
Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone e Francesca Morvillo morivano nella strage di Capaci insieme ad altri 3 agenti della scorta. Storia di un amore oltre la morte.
Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, magistrati, sposi, eroi. Non solo da quel 23 maggio 1992, quando alle 17.58 saltarono in aria sulla A29, uno vicino all’altra, morendo poche ore dopo. Lui era alla guida della Fiat Croma Bianca, lei stava seduta al suo fianco e quella che la storia ha battezzato la strage di Capaci, dal nome dello svincolo che per un soffio i due magistrati e i tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro non sono riusciti a superare, aveva appena squarciato l'asfalto, le vite e la coscienza di un intero paese.
Giovanni Falcone e Francesca Morvillo sono due eroi da molto prima del loro ultimo respiro spezzato dalla mafia combattuta a costo della vita. Di lui si è scritto già tutto: magistrato palermitano classe 1939 con la lotta alla criminalità organizzata nel dna, dalle prima inchieste a Palermo a quelle Oltreoceano dell’inchiesta Pizza Connection fino al pool antimafia, il maxiprocesso, il primo attentato e i primi veleni. Di lei non abbastanza: magistrata nata nel 1945 a Palermo e cresciuta a pane e giustizia, figlia del sostituto procuratore, si laurea collezionando una sfilza di 30 agli esami. Solo in tre non riceve la lode. Ed è solo l’inizio di una carriera dove la dedizione al lavoro non le costa fatica perché l’impegno per un mondo migliore è più forte di tutto il resto. Da quando entra in magistratura non c’è più spazio per nient’altro: sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo, Francesca costruisce un rapporto umano e pieno di premure e di comprensione con ciascun ragazzo che entra nel Palazzo di Giustizia.
Quanto fosse forte il suo senso di maternità era noto ed evidente a tutti. Tanto quanto era palese l’amore per il giudice Giovanni, conosciuto nei corridoi del Palazzo, non senza fare rumore: "Giudice, lei dà scandalo per la sua relazione con la collega", aveva mormorato Giovanni Pizzillo, l’allora presidente della Corte d'appello, alle orecchie di Falcone consigliandogli "di chiedere un trasferimento per non essere io stesso costretto a rivolgermi al Csm...". Incursione alla quale il giudice risponde per le rime: "Eccellenza, non abbiamo nulla da nascondere, nulla da rimproverarci. Faccia pure quello che ritiene suo dovere...".
Loro, Francesca e Giovanni conosciuti dopo un matrimonio fallito a testa, troppo tardi per una vita durata troppo poco, si sposano "di notte come i ladri" nel maggio del 1986. A celebrare le nozze senza invitati, a parte i familiari e i quattro testimoni obbligatori per legge, è l’allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando, a cucinare per chi c’era, dopo la cerimonia, Francesca, la neosposa. Francesca Morvillo non aveva figli, non ne misero al mondo perché "non si fanno orfani", ripeteva lui e annuiva lei, dedita all’amore e all’amore per la giustizia in un’unica e viscerale maniera. D’altra parte per i figli non ci sarebbe stato spazio in quelle giornate passate tra un faldone e l’altro. Lui tanto quanto lei, a casa, in via Notarbartolo, come al lavoro, in Tribunale.
"Nel '79 abbiamo collaborato - ricordava Pasquale Barreca, l’allora presidente della sezione di Corte d'appello, dopo la strage di Capaci -. In tre mesi siamo riusciti a evadere 1O70 pratiche. Era uno spirito libero, attenta, dotata di un eccezionale intuito". Una donna che non si concedeva lussi né strappi alle regole, che quando non lavorava stava con sua madre: "Felicità - aveva confidato ad un'amica - è andare in centro a far compere con mia madre...". Uscivano insieme, le due donne, a bordo di una Fiat Uno e andavano a fare la spesa senza scorta.
Il resto del tempo era quello per Giovanni: da quando lui fu trasferito a Roma al Ministero di Grazia e Giustizia fatto di lunghe telefonate al cellulare e fugaci weekend insieme. Lei andava a prenderlo all’aeroporto con l’auto blindata e per mano si ritagliavano una normalità in una giornata in mare aperto che Giovanni era diplomato all’accademia navale e con la barca a vela si divertiva e parecchio. O in una serata a teatro, o al cinema, o a cena fuori, nel locale di Peppino al Politeama, o a Sferracavallo dal Delfino, dove mangiavano il pesce e si raccontavano il tempo trascorso lontani l’uno dall’altra. Un tempo che hanno esaurito insieme, il 23 maggio di 24 anni fa, lasciando un buco grande come un cratere e un’eredità più viva dei figli che non hanno messo al mondo. Insieme, fino e oltre la morte.
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