L'aborto in un hashtag tra chi se ne pente (e chi no)
Su Twitter l'hashtag #ShoutYourAbortion per condividere esperienze positive sull'aborto e attirare l'attenzione sul tentativo di togliere i fondi pubblici a “Planned Parenthood”. Barack Obama ha già detto che il colosso delle cliniche abortive non si tocca, ma parlarne (anche online) è importante.
L’aborto torna al centro del dibattito sociale negli Stati Uniti d’America e, dati i tempi, più che sociale si fa social diventando hot topic di Twitter nell’hashtag #ShoutYourAbortion. Il grido 2.0 ha, però, una sfumatura diversa rispetto a quella “tipica” delle abortiste 1.0 e, più che rivendicare il diritto di ciascuna di fare del proprio corpo ciò che crede, mira piuttosto a tessere un’ode virtuale dei vantaggi di questa scelta. L’aborto: un’esperienza meravigliosa? Sì, no, più o meno. In realtà quella lanciata dalle attiviste americane Amelia Bonow, Lindy West e Kimberly Morrison è una campagna molto meno superficiale e, più che un’irrazionale (e ingiustificata) presa di posizione a favore dell’interruzione della gravidanza vuole piuttosto far conoscere all’opinione pubblica il tentativo dei parlamentari repubblicani al Congresso di eliminare i fondi pubblici a “Planned Parenthood”, il colosso delle cliniche abortive USA. Questi i fatti.
Il Center for Medical Progress ha, nei giorni scorsi, presentato una serie di video per denunciare il coinvolgimento del colosso in una presunta compravendita di tessuti e organi di bambini abortiti. L’immediata conseguenza di questa denuncia è stato il passaggio, alla Camera, del Defund Planned Parenthood Bill 2015 che, con 241 voti favorevoli e 187 contrari, ambisce a sospendere per il per il 2015, il finanziamento annuale (di 235 milioni di dollari) destinato a Planned Parenthood destinando i fondi – spiegano i firmatari – “a oltre 13.500 strutture a livello nazionale che forniscono cure reali a coloro che scelgono di non abortire e sono nel bisogno”.
La norma comunque dovrà essere vagliata dal Senato e anche se qui dovesse passare (ma le possibilità sono minime) Barack Obama in persona ha già giurato che porrà il veto se e quando la legge arriverà sulla scrivania dello Studio Ovale. Detto questo, però, la campagna non si ferma e le attiviste, mirando a una sensibilizzazione 2.0 sul tema, continuano ad invitare le donne a condividere online le proprie “esperienze positive sull’aborto”. Quelle delle organizzatrici sono le prime ad apparire sul web. “Come tante altre ho avuto un aborto alla Planned Parenthood – cinguetta prontamente Amelia Bonow - e ricordo questa esperienza con immensa gratitudine. Ci hanno fatto il lavaggio del cervello dicendoci che bisogna pentirsi degli aborti. Io ho un cuore buono e avere un aborto mi ha reso totalmente e incondizionatamente felice”.
Felice lo è stata anche la “collega” Lindy West che ha raccontato di aver “abortito nel 2010 e la carriera che ho costruito da allora mi soddisfa e mi rende in grado di curare i figli che ho ora”. Su questo tema molti contributi delle internaute da chi ha abortito per l’età (“Ho solo 21 anni e voglio godermi la mia gioventù – scrive per esempio Bianca - ma un giorno sarò una bravissima mamma!”) a chi lo ha fatto per scelta (come Favianna che non vuole scusarsi e spiega: “Non ho mai voluto avere bambini, per questo ho abortito. Sto crescendo, senza rimorso, senza vergogna, senza scusarmi”) fino a chi, come Clementine, non crede di dovere spiegazioni a nessuno perché “ho avuto due aborti ma la mia vita conta più di una vita potenziale”.
Qualcuno che pretende spiegazioni però - ovviamente - c’è e, oltre ai classici anti-abortisti (immancabili anche nella discussione online e schierati tutti al grido di “Un aborto non ti fa non essere più incinta, ti fa essere la mamma di un bambino morto”) spunta la fazione 2.0 che protende piuttosto verso l’adozione e all’hashtag risponde con un altro hashtag: #ShoutYourAdoption. Così il dibattito si arricchisce. E continua.
Copyright foto: Fotolia