Jim Morrison: 44 anni fa la morte a 27 anni del Re Lucertola diventato immortale

Il 3 luglio di 44 anni fa in un appartamento di Parigi, forse nella vasca da bagno, Re Lucertola Jim Morrison, il leggendario frontman dei "The Doors", entrava nella storia: la sua morte avvolta nel mistero ha contribuito a creare un mito che oggi avrebbe 72 anni. E che, infondo, festeggia un compleanno all'incontrario.


Jim Morrison, il frontman dei "The Doors", è morto il 3 luglio 1971.


Non sapremo mai se il suo posto nella leggenda sarebbe più sfavillante di quanto non sia già, o se gli anni e la voglia di sperimentare continuamente strade nuove lo avrebbero relegato qualche posto più indietro. Sono passati 44 anni da quel 3 luglio 1971, quando Re Lucertola, al secolo Jim Douglas Morrison, morì di quella morte misteriosa che gli assegnò un posto nell’Olimpo delle rockstar ribelli, belle e dannate. Immortali. Una morte che gli consegnò un biglietto in prima fila nel mitico Clan 27. Quello dove gli ospiti sono tutti morti, per l’appunto, a 27 anni: da Brian Jones, a Janis Joplin, da Jimi Hendrix a Kurt Kobain e Amy Winehouse, tanto per citarne alcuni. 

La leggenda dice che Jim fu trovato senza vita dalla sua compagna, nella vasca da bagno. Eppure qualche ora dopo intorno alla sua scomparsa iniziò a fiorire un ginepraio di storie nel quale era (ed è sempre stato) impossibile distinguere tra fantasia e realtà. È certo che ancora oggi la voce di Morrison e la musica dei suoi The Doors risuonano nelle casse di tutto il mondo. Ed è altrettanto certo che l’influenza di questo musicista figlio di un ufficiale della marina militare americana che preferì studiare cinema e vivere sul palcoscenico alla disciplina algida della carriera militare, è ancora potentissima. 

Basta fare una gita al cimitero parigino di Père Lachaise, dove nell’era del rap, il suo monumento funebre è ancora meta di un pellegrinaggio che non si è fermato mai. Fiori, fotografie, scritte, bottiglie di birra abbandonate, ragazzi che guardano nel vuoto con l’aria malinconica. Molti di loro non potevano essere nati quando lui è scomparso. Poco importa: Jim non è stato dimenticato neppure da chi non lo ha incrociato mai nella sua vita terrena, nemmeno attraverso un schermo tv. E sulla tomba l’epitaffio in greco - katà ton daimona eautoù, ovvero “sotto il demone di se stesso” – continua a ispirare milioni di persone.

Si disse subito, come per molti altri componenti del Clan 27, che in realtà la morte di Morrison era una trovata di marketing che avrebbe dovuto permettergli di sparire per godersi una vita finalmente distaccata dalla necessità di essere una star. Per lui l’occasione per continuare a scrivere poesia e musica in qualche angolo paradisiaco del pianeta, per quelli che producevano la sua musica quella di trasformare le sue opere in successi immortali, capaci di mietere i diritti d’autore buoni a mantenere orde di generazioni. Un po’ come si dice dei colleghi entrati nella leggenda, da Elvis Presley a Michael Jackson. Quelli che giurano di averlo riconosciuto ormai 72enne, a girare per le strade - dal Marocco al Messico - sono così tanti che da decenni non vengono nemmeno più presi in considerazione.

Morto per droga, per l’alcol, per un incidente, per una qualche volontà maligna o per l’effetto di tutte le cose insieme o magari anche non morto affatto, poco importa, a questo punto. Così vivono (e muoiono) le persone che stanno contro tutto e contro tutti, a prescindere, sempre e comunque. Jim era anche contro quelli che in teoria erano contro: “Il movimento hippy è una reazione di tipo dionisiaco, ma molto naïf e sterile. Lo stile di vita hippy è veramente un fenomeno piccolo-borghese”.

D’altra parte stiamo parlando di Jim Morrison: del Re Lucertola che è diventato un’icona del rock senza avere una gran voce o granché intonazione. Uno che sul palco ha sfondato con le sue interpretazioni profonde, i suoi testi rotondi, densi e pieni di parole trasformate in aforismi. Eppure, basta riascoltare The end per capire che il Jim Morrison che era contro è diventato un’icona proprio perché incarnava, sul finire degli anni Sessanta, la grande cultura che cercava di staccarsi definitivamente dall’accademia, dalle regole già scritte, dai canoni della critica, per avventurarsi sulla strada della sperimentazione senza reti di protezione. 

Cantare sapendo cantare sarebbe stato ovvio. Meglio stare dalla parte della barricata di Kerouac, di Bukowsky, di Hendrix: cantare, scrivere, suonare imparando per vie inesplorate, arrivare a saperlo fare saltando a piedi pari i sentieri battuti. Valeva per l’arte, valeva per la vita: “Qualcuno qui stasera sa di essere vivo?” amava chiedere al suo pubblico per dare all’atmosfera quel tono un po’ lugubre che faceva parte del personaggio. 

Questa sera noi lo sappiamo: Jim Morrison è vivo, e non importa se su un’isoletta nel Pacifico o (più probabile) solo nella memoria della musica e della poesia. Ha 27 anni e ne ha 72. Gli altri quarantaquattro, in mezzo, non sono passati per niente. Oggi, infondo, è il suo compleanno al contrario. Se fosse vivo Jim lo festeggerebbe.

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