Attentato a Tunisi: 9 arresti, 2 le vittime italiane accertate
Secondo l'ultimo bollettino diffuso dal ministro della Sanità, Said Aidi, sono 23 le persone che hanno perso la vita al museo: 18 turisti stranieri e 5 tunisini, tra cui due dei cinque attentatori. Gli italiani rimasti feriti sarebbero 11 ha aggiunto il ministro specificando la nazionalità delle vittime dell'attentato e precisando che, oltre agli italiani, sono rimasti coinvolti 9 tunisini, 11 polacchi, 8 francesi, 5 giapponesi, 1 russo, 1 tedesco e 2 sudafricani.
Di certo c'è il nome delle due vittime: Francesco Caldara, 64 anni, pensionato di Novara, e Orazio Conte, torinese. Erano tutti partiti con le mogli - rispettivamente Sonia Reddi e Carolina Bottari entrambe ricoverate all'ospedale di Tunisi - per una vacanza all'insegna del relax a bordo della Costa Fascinosa, quell'escursione al museo era solo una delle tante tappe. Francesco Caldara, autista in pensione novarese di 64 anni, era alla sua prima crociera, regalata alla nuova compagna, Sonia Reddi per festeggiare il suo compleanno. A quanto sembra dalle prime ricostruzioni, l'uomo è stato ucciso mentre si trovava sull'autobus colpito al petto dalle raffiche dei terroristi. Orazio Conte, informatico di Torino 54enne - freddato durante l'attacco al museo -, aveva colto al volo l'offerta last minute che la moglie Carolina Bottari aveva trovato per condividere le vacanze con le amiche Antonella Sesino, Anna Bagnale e Antonietta Santoro.
Così come certa dovrebbe essere l'identità dei due attentatori uccisi: sarebbero Jabeur Khachnaoui, nato a Kasserine e Yassine Laabidi, nato a Ibn Khaldoun, un sobborgo di Tunisi. Entrambi giovanissimi, entrambi tunisini, entrambi - come del resto tutti gli attentatori del Bardo, ha affermato il ministero degli Interni tunisini, Najem Gharsalli - "muniti di cinture esplosive" e di armi "molto avanzate". Perciò, il numero delle vittime dell'attentato "sarebbe potuto essere molto più alto", ha aggiunto il ministro.
Entrambi vestiti sportivi, e non da militari come si era detto in un primo momento. In jeans e maglietta uno, con una tuta dell'Adidas e una felpa l'altro. Scarpe da ginnastica firmate e cappuccio sulla testa per tutti e due. Avevano uno smartphone: la prima foto messa on line, quella con gli ostaggi dentro il museo seduti a terra, l’ha fatta e postata su Twitter uno di loro. Di Jabeur Khachnaoui non si avevano notizie da circa 3 mesi quando il ragazzo, incensurato, aveva telefonato ai genitori con una scheda telefonica irachena. Da qui il sospetto che fosse uno dei 2400 jihadisti tunisini (una stima al ribasso) arruolatisi nell’Isis. Yassine Laabidi, invece, era noto all’intelligence tunisino ma per reati di poco conto.
Intanto a Tunisi sono già scattati i primi nove arresti - di cui quattro per "legami diretti con l'attacco" -, ha annunciato la presidenza tunisina. All'appello, infatti, mancano i tre complici riusciti a fuggire dopo l'attentato. Secondo le autorità tunisine, i due arrestati portano al gruppo Katiba Uqba ibn Nafi, una costola tunisina di Al-qaeda nel Maghreb islamico, ora vicina all'Isis sebbene non abbia ancora ufficializzato la sua fedeltà al leader del Califfato al Baghdadi. D'altra parte la presenza dell'Isis in Tunisia non è recente: nel 2013, i due politici locali, Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, furono assassinati da Boubaker al-Hakim, un membro dell’ISIS strettamente connesso ai fratelli Kouachi, gli attentatori di Charlie Hebdo.
Senza contare il fatto che poche ore prima dell’attacco, i gruppi tunisini vicini ad Al-qaeda avevano annunciato violenze in Tunisia sul web, con un video su YouTube che preannunciava le "gesta dei mujaheddin" in Tunisia e altri tweet terroristici, diffusi dagli account vicini allo Stato Islamico.
Insomma, se in Tunisia "siamo in guerra" - come ha dichiarato il presidente tunisino Beji Caid Essebsi durante una riunione del Consiglio superiore delle forze armate convocata dopo l'attentato - in Italia poco ci manca. "Oggi in Italia tutti i livelli di allerta di mobilitazione delle forze di sicurezza sono al massimo e concentrati sulla minaccia terroristica" ha affermato il ministro degli esteri Paolo Gentiloni ad Agorà pur precisando che "tecnicamente" siamo in una "fase di pre-massima allerta" terrorismo perché l'intelligence non ha "minacce specifiche".
Perciò se da un parte il ministro esorta a non cedere a "nessun allarmismo", dall'altra sottolinea che "dobbiamo proteggere i nostri confini, i nostri concittadini ed alzare i livelli di sicurezza sui possibili bersagli del terrorismo", tutte cose - ha assicurato Gentiloni - che "il ministero interno sta facendo". E ancora: "i nostri servizi di intelligence sono attivi, abbiamo rafforzato la presenza navale nel Mediterraneo e finora - ha aggiunto - non esistono elementi di connessione tra fenomeno migratorio e terrorismo, ma nessuno può in teoria escluderlo".