Bombyx, il futuro è firmato Matteo Thiela
Si definisce un ricercatore sperimentale e la sua nuova invenzione dimostra che ha ragione: il designer Matteo Thiela ci spiega come crea abiti in 3D a partire da semplici fili con un procedimento nuovo che piace a molti. Anche a Irene Grandi.
Talentuosoe sperimentale. Ecco il designer Matteo Thiela, milanese di nascita ma torinesed’adozione dopo una parentesi di vita trascorsa sotto il sole di Miami adipingere. Il dubbio è lecito e istantaneo: perché tornare? “Perché avevonostalgia delle mie radici – risponde, deciso – un europeo ha bisogno di esserecircondato da queste vecchie pietre che sono dappertutto a ricordargli qual èla sua storia permettendogli di scrivere il suo futuro”. E il futuro Matteol’ha scritto davvero a partire da una nuova tecnica avveniristica che permettedi creare abiti su tre dimensioni anziché sulla classiche 2D di stoffa, forbicie aghi. Il risultato? Per adesso una collezione leggera e magica dal retrogusto un po' rock capace diconquistare anche Irene Grandi che, infatti, ha scelto un abito dello stilistatorinese per la sua apparizione al Festival di Sanremo. Ma andiamo con ordine.
Aiutacia capire come funziona.
Hobrevettato un sistema per cui il corpo della donna (per adesso ma in futuropotrà riguardare anche la moda maschile) è centrale nella confezione del suo abbigliamento.Utilizzo un manichino, ovviamente in tre dimensioni, che gira su sé stesso a velocità costante. Su questo supporto “appoggio” deifili che si amalgamano diventando stoffa solo in un secondo momento facendo inmodo che il tessuto si modelli sulle forme del corpo e non, come accade sempre,che sia il corpo a dover seguire le rigidità della stoffa.
Stoffache non esiste prima di incontrare il corpo…
Esatto,anche la stoffa si plasma ad hoc per rispondere alle particolarità di chi dovràpoi scegliere il vestito ed è per questo che la collezione si chiama proprioBombyx (baco da seta in greco antico). Il risultato è un abito completamente fatto a mano e del tuttopersonalizzato che conserva la memoria delle forme di chi lo indossa e restatridimensionale per adattarcisi al meglio.
Com’ènata questa idea?
Daun’esperienza d’infanzia che mi ha segnato per il resto della vita. Avrò avutocirca otto anni e sono entrato in una sartoria dove mi aspettavo di trovare macchinariavveniristici e abiti che nascevano in serie. Quando ho scoperto che tuttoavveniva con una lavorazione “primitiva” (aghi, fili, stoffe da tagliare su untavolone…) e ci sono rimasto davvero male quindi ho deciso che avrei fatto ilpossibile per modificare questa situazione. Ed ecco qui.
Comeimmagini il futuro di questa tecnica?
Personalmentecredo che potrebbe espandersi e prendere piede. In questo momento storico,forse per i famosi corsi e ricorsi della moda, c’è una una gran voglia di“fatto su misura”: le persone desiderano avere indosso un capo che sia statostudiato, realizzato e confezionato apposta per loro. Con la mia tecnica faccioesattamente questo aggiungendo al risultato finale un pizzico di avvenirismo.
Quando il passato del "fatto a mano" e il futuro della tecnica si incontrano il risultato non può che essere sorprendente. Parola nostra (e di Irene Grandi).
Copyright foto: Matteo Thiela Official Facebook - credits Daniela Ferraro