Stupro di Firenze, i carabinieri insistono: siamo stati invitati
Interrogato in merito al presunto stupro a Firenze, il secondo carabiniere sostiene di aver fatto "ciò che diceva il capopattuglia" e ribadisce che le ragazze americane fossero d'accordo: "siamo stati invitati a salire".
[Aggiornato il 15/09/2017 alle ore 09.15] Pietro Costa, 32 anni, il carabiniere scelto, sminuisce il suo ruolo nella notte brava del 7 settembre, a Firenze: "Ho fatto tutto quello che diceva il capopattuglia Marco Camuffo", 43 anni, co-protagonista del presunto stupro di due studentesse americane. Interrogato dagli inquirenti ha ribadito quanto già affermato dal collega - "La ragazza era d’accordo, sia lei che l’amica hanno insistito molto per farci salire a casa. E comunque non mi pareva ubriaca" - tenendo tuttavia a precisare che lui si è limitato ad obbedire agli ordini. Per la serie: sapeva che non fosse permesso “far salire le ragazze sull’auto e accompagnarle” fino a casa. Ma “decideva Camuffo”.
Ora gli inquirenti hanno le versioni di entrambi i carabinieri accusati dalle due studentesse americane di stupro. Versioni fotocopia, nella sostanza, di una notte che doveva essere una delle tante, di servizio e pattuglia, e invece si è trasformata in un incubo che ha segnato (distrutto?) quattro vite. Senza considerare quelle dei parenti dei protagonisti.
La vicenda: dal Flò a casa
I fatti: all’alba del 7 settembre 2017 tre gazzelle dei carabinieri intervengono per sedare una rissa al Flò, una discoteca di Firenze. Tra i clienti ci sono due studentesse americane di 19 e 21 anni arrivate da una decina di giorni nel capoluogo toscano per frequentare un’accademia per stranieri: quella sera hanno fatto festa, hanno bevuto un po’ troppo - come hanno confermato i test alcolemici, smentendo le versioni dei carabinieri -, la più giovane, del New Jersey e di origini italiane, ha anche fumato marijuana. Sono a piedi, aspettano un taxi davanti al locale. Marco Camuffo e Pietro Costa, due dei carabinieri intervenuti, si offrono di riaccompagnarle a casa, da Piazzale Michelangelo a Borgo Santi Apostoli - violando così il loro ordine di servizio - e loro accettano. Arrivati davanti al portone, come dimostra un filmato che ha individuato la gazzella parcheggiata, sono le 2,50 del mattino.
Quello che succede nei successivi 23 minuti è ciò che la magistratura sta cercando di chiarire perché le versioni dei protagonisti discordano. È un fatto che scendono tutti ed entrano nell'androne: il 32enne e la 19enne prendono l’ascensore, gli altri due vanno a piedi. Tutti, però, fanno sesso, come hanno chiarito anche gli esami medici. Resta da appurare se sia trattato di un duplice stupro - come hanno denunciato le giovani - o di rapporti consenzienti, come sostengono i militari.
La versione dell'appuntato 43enne
Il primo ad aver dato la sua versione ufficiale dei fatti è Marco Camuffo, il più anziano dei due, un appuntato di 43 anni, con tre figli a casa ad aspettarlo. Assistito dalla sua legale, Cristina Menichetti, nei giorni scorsi si è presentato in Questura. “Mi sono trovato coinvolto - ha dichiarato, come riporta La Stampa - sono stato trascinato, ma non me la sono andata a cercare. La ragazza era invitante e non mi sono accorto che fosse ubriaca”, nemmeno che “fosse così giovane: aveva un'aria più matura, vicino alla trentina…”. Così, anche se in servizio dovrebbe lavorare, fa un’eccezione: “Ci parlavamo un po’ in inglese e un po’ in spagnolo - ha aggiunto -, ma con frasi brevi, a livello scolastico e abbiamo avuto un rapporto sessuale sul pianerottolo. Eravamo solo noi due. Non so dove fossero il mio collega e l’altra ragazza. Eravamo entrati tutti e quattro nel portone perché le americane ci avevano invitato a salire, ma poi ognuno ha preso la sua strada”. Ci tiene però a precisare che “non sono un mostro, sono un padre di famiglia e non voglio che mi chiamino stupratore perché non ho stuprato nessuno. So di aver fatto una cosa inqualificabile, ma lei era consenziente” e anche che “ci eravamo lasciati bene”, scambiandosi i numeri di telefono.
Il suo avvocato, Cristina Menichetti, gli crede “da avvocata e da donna”: “Quel carabiniere, disperato, che davanti a me è scoppiato a piangere, mi ha detto di sapere perfettamente di aver sbagliato - ha spiegato al Corriere della Sera -. Mi ha ripetuto che non doveva accompagnare nessuno, che non doveva avere un'avventura perché in divisa e in servizio. Ma quando dice di non averla violentata, io ci credo”.
Il collega 32enne: "Hanno insistito"
Pietro Costa, il collega 32enne, invece, si è appartato con la 19enne. Lei sì che era visibilmente alterata: aveva bevuto e fumato così tanto da non reggersi in piedi, dopo la presunta violenza è svenuta e nei giorni successivi, davanti agli inquirenti, non è nemmeno stata in grado di riconoscerlo. Insomma, come ci tiene a chiarire l’avvocato Gabriele Zanobini, legale della giovane, in quelle condizioni "non c’è consenso che tenga. Anzi c’è l’aggravante della minore difesa". Sia come sia Costa ha dato la sua versione ufficiale martedì 12 settembre al procuratore Giuseppe Creazzo e al pubblico ministero Ornella Galeotti. "È stato un momento di debolezza", ha ammesso, ma ha anche ribadito che "sono state le ragazze a invitarci, hanno insistito perché salissimo a casa". Stop. Poi, terminato l'interrogatorio durato circa tre ore, si è abbandonato a “uno sfogo, un pianto liberatorio” tra le braccia del suo avvocato, Andrea Gallori.
Un'ora di buco
Alle 3.13 i militari escono dal portone, risalgono in auto e quello che fanno fino alle 6.45, ora di fine servizio, è un altro dei punti al vaglio degli inquirenti. Nella relazione di servizio i militari riportano un generico servizio di pattugliamento a partire dalle 4 del mattino. Il che, anche se poi venisse appurato, lascia scoperto il lasso di tempo dalle 3.13 alle 4: che cos'hanno fatto in quell'ora? Forse eliminato prove? Lo stabiliranno l'inchiesta giudiziaria e quella parallela, condotta dalla Procura militare di Roma. Di certo il destino professionale di Marco Camuffo e Pietro Costa, che sognava un futuro nell'unità cinofila, è al capolinea: al momento a piede libero, ma sospesi dal servizio, rischiano il congedo o la radiazione dall'Arma.
La gogna social
Alle versioni dei carabinieri si contrappongono quelle delle due studentesse che li accusano di violenza sessuale e quelle di chi, complice la notizia - poi smentita - di una polizza anti-stupro (in realtà le due hanno una normale assicurazione che risarcisce anche in caso di violenza), le ha bollate come ragazze dai facili costumi. Per essere gentili.
Per farsene un'idea basta vedere quella foto che rimbalza da una bacheca all’altra che ritrae due ragazze super sexy che fanno festa in discoteca: una dà da bere all’altra. Peccato che l’immagine sia vecchia di 6 anni, sia già stata usata per vari scopi e, soprattutto, non ritragga le due studentesse in questione. Poco importa: tanto è bastato per definire le protagoniste di quest'orribile vicenda, due vittime, in ogni caso, “zoccole americane che se la sono andata a cercare” oppure “zoccole pagate dalla Boldrini per infangare l’Arma”.
La gogna social se ne infischia della verità, i leoni da tastiera non ne parliamo. Non resta che confidare nella giustizia, alla luce delle dichiarazioni di Tullio Del Sette, comandante generale dell’Arma: “Pagheranno il disonore commesso”. Perché quel sesso, quella notte, durante l’orario di servizio, con due ragazze sballate non s’aveva da fare. Nemmeno se consenziente.