Valentina Ventura: “Ho lanciato dal balcone il bambino appena nato”
Il piccolo Giovanni, il neonato partorito da Valentina Ventura e poi gettato dalla finestra, era stato concepito al di fuori della relazione con il suo compagno. Entrambi i genitori non l'hanno riconosciuto, il Comune gli ha dato un cognome: Di Settimo.
[Aggiornato il 21/06/2017 alle ore 15.25] È vissuto poche ore ma ha cambiato per sempre le vite di molte persone. Giovanni Di Settimo, così l'hanno chiamato i medici che hanno provato a rianimarlo e il Comune che gli ha pagato il funerale, era appena nato quando è morto, sull'asfalto, nudo, all'alba del 30 maggio scorso. Sua madre, Valentina Ventura, 34 anni, l'ha concepito in una relazione extraconiugale, l'ha cresciuto in grembo negandone l'esistenza, l'ha partorito da sola, nel bagno di casa e poi l'ha gettato dalla finestra. Salvatore Scalas, il compagno della donna, è un uomo distrutto: non si era accorto di nulla, non del tradimento, non della gravidanza. Come nessuno, per altro, madre (che ora è in carcere accusata di omicidio aggravato) compresa.
La svolta nelle indagini è arrivata con l'autopsia che ha rivelato un dna diverso da quello di Scalas, che qualche dubbio ce l'aveva, visto che si è rifiutato (come la madre) di riconoscerlo. E così al funerale del piccolo, celebrato alla chiesa di San Pietro in Vincoli di Settimo Torinese, alle porte di Torino, intorno alla piccola bara bianca si è stretta la comunità che se n'è fatto carico.
“Sei stato un grande Giovanni - ha esordito don Luciano Piras, cappellano dell’ospedale - sei rimasto con noi pochi minuti e hai generato una quantità di amore incredibile”, colpito dalla chiesa gremita nonostante il caldo torrido. Nessuno, però, ha invocato vendetta, anzi, durante la funzione c'è stato il tempo anche per una preghiera per la famiglia. “Questa tragedia - ha ribadito a proposito il Sindaco Fabrizio Puppo - ci deve far riflettere su quanto si può essere soli anche in mezzo alla gente. Dobbiamo salutarci di più e interessarci di più della vita dei nostri vicini. Dobbiamo fare in modo che non capiti mai più quello che è successo al piccolo Giovanni e lo possiamo fare solo insieme".
Al termine della funzione centinaia di palloncini bianchi sono volati in cielo, da dove Giovanni continuerà a far del bene alla comunità in virtù della sottoscrizione comunale aperta in sua memoria e destinata alle associazioni del territorio che si occupano di bambini.
Giovanni Di Settimo: la sua terribile storia
All'alba del 30 maggio Valentina si è alzata dal letto, "sono andata in bagno e il bambino è nato". Interrogata, avrebbe aggiunto: "non sapevo di essere incinta, in questi nove mesi ho avuto regolarmente il ciclo. Mio marito ieri mattina ha visto il sangue, ma gli ho detto che era una mestruazione abbondante". Salvatore Scalas, un agente immobiliare, ha confermato di non aver mai notato nulla: "Ho sentito come un miagolio, ma non ho collegato". I vicini di casa, in questi mesi, qualche dubbio ce l'avevano avuto ma lei li aveva zittiti attribuendo la sua stazza (lievitata) a un "gonfiore di pancia". "Forse - si sono ripetuti di fronte alla montagna di fiori, bigliettini e peluches lasciati sull'asfalto -, se avessimo insistito si sarebbe aperta e questa tragedia si sarebbe potuta evitare". Un punto di vista opposto rispetto agli sconosciuti che, sulla pagina Facebook della donna, hanno riversato migliaia di pesanti insulti.
Sia come sia, dopo averlo partorito nel bagno del suo appartamento al secondo piano di via Turati, a Settimo Torinese, con ancora il cordone ombelicale attaccato, nudo come l’aveva fatto, se n’è liberata - presumibilmente lanciandolo dalla finestra - condannando quell'esserino di 3 chili per 54 centimetri d'altezza. E condannandosi. E condannando tutta la sua famiglia. Anzitutto l'altra figlia, una bambina di 4 anni appena, affetta da una malattia degenerativa, ereditaria, di cui soffre il padre.
Il corpo del piccolo l'ha trovato sull’asfalto, “accanto a uno straccetto”, un operaio 21enne che stava rincasando dal turno di notte. “Ho visto qualcosa in mezzo alla strada e mi sono fermato - racconta Stefano Cravero a La Stampa -. Era agonizzante ma respirava ancora”. La strada era deserta, dal nulla sono apparsi Attilio Bondino e Saverio Casorelli, due netturbini: “Una scena che non dimenticherò più”, racconta Bondino, atterrito come tutti, del resto. “Urlavamo chiedendo aiuto - ha aggiunto -. È stato sconvolgente. Speravamo tutti di potergli salvare la vita”.
Valentina Ventura: una madre sola tra la gente
Tutto ciò avveniva mentre Valentina, in casa, si stava preparando per accompagnare l'altra figlia all'asilo, come fa tutte le mattine. E come tutte le mattine, alle 11, le sarebbe stata accanto per la terapia. Le altre mamme l'ammiravano, quella donna che, con tanta dedizione, si occupava della piccola malata. Quella donna che, ora si scopre, nove mesi prima aveva avuto una relazione extraconiugale, poi aveva lasciato il lavoro e ridotto i rapporti sociali all'osso, forse per nascondere a tutti, ma anzitutto a se stessa, quelle seconda gravidanza non desiderata e terribilmente temuta.
"C'è ancora molto da fare e da capire", ha ammesso il procuratore di Ivrea Giuseppe Ferrando, "colpito dall'apparente non dico tranquillità ma normalità del comportamento della donna". Una donna che "sembrava quasi non rendersi conto di quanto era capitato" al punto che, dopo la confessione, quando le hanno spiegato che non poteva tornare a casa ma sarebbe stata trattenuta con l'accusa di omicidio "ha avuto un moto non di sgomento ma di stupore".
Ancora una volta, ha riflettuto il procuratore, si tratta di una vicenda avvenuta in un ambiente di "isolamento sì ma in un contesto in cui la signora ha un marito che lavora, vive in una casa decorosa, in un ambiente normale, portava l'altra bambina all'asilo, ha delle amiche, ha una sorella". Insomma, conclude Ferrando, "tutta una rete di rapporti, contatti, colloqui che rendono quasi impossibile seguire il pensiero che lei sostiene, cioè di non essersi resa conto di essere incinta".
Stando alle indagini, “al momento non sono emerse responsabilità da parte di altre persone”, spiegano gli investigatori: Valentina Ventura è l’unica responsabile di questa vita spezzata sul nascere che poteva essere salvata. Perché Valentina, come la 16enne triestina e come tutte le donne in Italia che non vogliono il neonato che hanno portato in grembo per nove mesi, poteva chiedere aiuto prima e in forma del tutto anonima: nei consultori e negli ospedali, dove avrebbe potuto partorire senza riconoscere il piccolo e poi darlo in adozione, regalandogli quella vita che meritava e quella gioia negata a chi, di figli, non ne può avere.