Stalker (gentiluomo): storie di donne a rischio

Corsi di autodifesa, spray urticanti e pattini a rotelle: come comportarsi con un uomo fastidioso? Ecco alcune delle strategie elaborate dalle donne a rischio, vittime degli "stregoni", stalker che si credono gentiluomini. 

Infermiere, psicologhe e psichiatre: le categorie a rischio stalker-gentiluomo. © ©stokkete/123RF

Infermiere, psicologhe e psichiatre: "pochi sanno che esiste una categoria sociale a rischio di stalking - spiega Antonio Ventre, psicologo psicoterapeuta in pensione dopo una vita all'Ospedale Molinette di Torino - rappresentata da tutti gli appartenenti alle cosiddette professioni d’aiuto". Alcune di loro vanno a lavorare sui pattini a rotelle, altre cambiano strada ogni giorno, altre si comprano spray urticanti, altre ancora s’iscrivono a corsi di difesa. Alcune arrivano perfino a pagare il loro cacciatore, pur di essere lasciate in pace.  

   

Stalking sul lavoro

Sono donne che hanno a che fare con persone bisognose di aiuto e facilmente si trasformano in vittime di proiezioni di affetti e relazioni interiorizzate - spiega Ventre -. Inoltre, le eccessive speranze di alcuni pazienti, rischiano di essere tradite dall’attitudine professionale e così lo stalking diventa una domanda d'attenzione o una ricerca di vendetta al di fuori dalle mura della struttura sanitaria”. Un po' com'è successo a Roma, qualche anno fa, quando un 42enne si è convinto di essere il marito della sua psichiatra e ha iniziato a seguirla ovunque, sempre di più, fino a sfinirla e a costringerla a denunciarlo. 

É cominciato per caso” racconta Chiara, infermiera 37enne presa di mira da un 55enne visto in reparto e poi incontrato alla fermata dell'autobus davanti all’ospedale in cui lavora. “Facevamo una decina di fermate insieme. All'inizio era gentile, socievole, sembrava un uomo solo, aveva voglia di parlare e non ci trovavo niente di male. Era galante, rassicurante. Forse gli ho dato troppa corda, forse l'ho illuso”. Fatto sta che sono bastate alcune settimane per trasformare quel tragitto in un incubo. 

Un giorno lei era distratta, non l'ha salutato e si è seduta lontano: "Lui ha pensato che volessi evitarlo e mi ha seguito fin sotto casa chiedendomi spiegazioni. Era aggressivo, geloso”. Da quel momento Chiara è entrata in un vortice: “Lo incontravo dovunque andassi. Facevo finta di non conoscerlo. Pensavo che se non gli avessi più dato un pretesto per perseguitarmi, mi avrebbe lasciata perdere”. Ma non è servito a niente. Anzi. “É diventato ossessivo, lasciava messaggi nella buca delle lettere e al lavoro. Non sapevo il suo nome ma in ospedale arrivavano fiori, biglietti, cioccolatini e profumi. Si firmava "il tuo" e io, invece di sentirmi gratificata, iniziavo a tremare”. Chiara non rispondeva e "il tuo" ha cominciato a minacciarla, a fermare i suoi colleghi per calunniarla. 

La sua aria distinta gli permetteva di essere credibile, convincente. “Una notte, sotto casa, mi ha fatto una serenata di insulti - racconta Chiara - si è affacciata tutta la via. Sono andata nel panico”. Non conoscendolo, non ha potuto denunciarlo e così ha iniziato ad andare a lavorare pattinando, cambia strada in continuazione, si è trasferita a casa dei suoi genitori e sta pensando di cambiare lavoro, addirittura città. 

Sindrome dello stregone: come difendersi?

La storia di Chiara è simile a quella di molte altre donne che si ritrovano alle prese con uomini fastidiosi che si credono corteggiatori, gentiluomini e senza dire niente di sé, s'impossessano della loro vita. Il fatto è che in questi casi non ci sono risposte efficaci perché lo stalker, tanto più se si crede un corteggiatore e non ha ancora avuto una relazione con la donna in questione, è “una persona emotivamente infantile, psicologicamente dipendente, ha vissuti oppressivi e trasforma i rifiuti delle sue prede in sfide che corroborano i suoi obiettivi - spiega Ventre -. Nella sua testa, un lasciami in pace equivale a insisti ancora. Il suo pensiero è: lei in fondo mi vuole ma non lo ammette, deve sapere che non mollo”.

Ventre ha coniato l'espressione “sindrome dello stregone” per inquadrare la relazione vittima-carnefice: “Nella società moderna i confini della galanteria si sono slabbrati. Una volta prevalevano le emozioni, che hanno un significato duraturo e presuppongono uno scambio. Oggi prevalgono le sensazioni: sono effimere, durano un istante, e creano dipendenza. Le vittime non si sentono tali e arrivano anche a pagare in denaro i loro carnefici pur di essere lasciate stare”. Perché non sempre la giustizia è in grado di arginare quella che può trasformarsi in tragedia e allora alle donne non resta che usare la fantasia per riuscire a difendersi.

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