Schiave sessuali: spunta il primo video delle comfort women
Il primo video che ritrae le “comfort women”, donne di conforto - laddove per conforto s’intende un lavoro a tempo pieno nei bordelli militari giapponesi a partire dagli anni Trenta fino al 1945 - è sbucato dall'archivio americano della Seoul National University. Quelle riprese dalla telecamera, sono una decina di ragazze, in fila una di fianco all'altra, gli ufficiali le passano in rassegna, molto probabilmente di lì a poco torneranno ad essere delle donne libere dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Perché la loro è una storia di prigioniere parallele. Un esercito di 20mila donne, secondo i calcoli giapponesi, 410mila secondo studi cinesi. Donne carpite alle loro famiglie in Corea, Cina, Filippine, ma anche da Thailandia, Vietnam e Malesia con la promessa di un lavoro e finite nei cosiddetti comfort center alla mercé dei soldati giapponesi. Donne trasformate in prostitute per evitare gli stupri di guerra, che avrebbero indebolito il Giappone. Solo nel 2015, settant’anni dopo, l'Impero del Sol Levante ha chiesto scusa.
“Il premier Abe - dichiarò ai tempi il ministro degli esteri giapponese, Fumio Kishida - esprime le sue sincere scuse e il suo rimorso per tutte coloro che, come 'comfort women', hanno vissuto sofferenze e subito danni psicologici e ferite fisiche”. E alle parole fece seguire i fatti annunciando la creazione di un fondo di un miliardo di yen (7 milioni e mezzo di euro) per risarcire le vittime, oggi quasi tutte morte. “Se il Giappone manterrà le promesse, la questione è risolta finalmente e irreversibilmente” commentava il ministro degli esteri sudcoreano Yun Byung-se, lasciando trapelare la soddisfazione del gesto nipponico. Per la serie, "meglio tardi che mai". D’altra parte questa è la prima intesa sulla (scottante) questione che in tutti questi anni era stata affrontata in maniera troppo superficiale: nel 1965 Tokyo aveva risarcito i propri crimini di guerra a Seoul con 364 milioni di dollari; nel 1994 aveva istituito un Fondo Donne Asiatiche, chiuso però nel 2007.
Eppure il dramma delle schiave sessuali della Seconda Guerra Mondiale era sotto gli occhi di tutti, sparpagliato nelle famiglie: la maggior parte delle sopravvissute aveva perso la fertilità, tre quarti di loro sono morte senza dignità. Ad oggi solo una, giapponese, ha avuto il coraggio di raccontare la sua storia, sotto lo pseudonimo di Suzuko Shirota. Ma il racconto più agghiacciante arriva da Jan Ruff-O’Herne, una delle 300 olandesi che vennero prelevate e usate come schiave del sesso, che nel 1990 raccontò davanti a un comitato della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti: “Nei cosiddetti 'centri del comfort', sono stata sistematicamente picchiata e violentata giorno e notte. Anche i dottori giapponesi mi stupravano ogni volta che venivano nei bordelli per visitarci a causa delle malattie veneree”. Finalmente, 70 anni dopo la fine di quell'orrore, Tokyo ha restituito un po' di quell'onore strappato con l'inganno a madri, mogli, figlie e sorelle e nascosto per decenni dietro alla menzogna che le "comfort women" fossero volontarie.