Donne-Isis, un binomio che fa sempre più proseliti
Gestito da donne, "Free Our Sisters" assomiglia a un sito per mamme ma i post fiancheggiano l'Isis, invitano "più donne possibili" a combattere la jihad e festeggiano l'11 settembre.
Sono donne e parlano ad altre donne attraverso la rete. Non ci sarebbe niente di strano se l’argomento delle discussioni di Free Our Sisters, il blog su Tumblr (con tanto di account Twitter) non fosse l’Isis, i destinatari dei messaggi non fossero (anche) i guerriglieri in carcere e gli esempi proposti e osannati non fossero Bin Laden, le jihadiste e i kamikaze.
Che le donne e l’Isis vadano (anche) a braccetto è noto. Nei territori occupati da al Baghdadi c’è la famosa brigata al Khansaa, incaricata di individuare e punire le infedeli. In Occidente, invece, c’è un sito che nella forma assomiglia a un blog per mamme, con tanto di emoticon, smiley, fotografie e disegni a carboncino. A leggere i post, però, le domande si affastellano una sull’altra. Ci sono i racconti delle presunte (e inverificabili) violenze subite in carcere dalle donne accusate di fiancheggiare la jihad e c’è la propaganda, servita in tutte le salse, per convincere “con le buone” più donne possibili, per lo più musulmane, ad unirsi alla causa. Il fatto che quella causa contempli la "teologia dello stupro" e tratti le donne come schiave del sesso non fa loro né caldo né freddo.
Una che ispira il sito è Coleen Larose, alias Jihad Jane, la 52enne americana del Michigan, convertita all'Islam radicale condannata nel 2014 a 10 anni per aver cospirato, fin dal 2007, per uccidere il vignettista svedese Lars Vilks che disegnò Maometto con il corpo di un cane. Un'altra è Sumayyah, il nome di battaglia per Jamie Paulin Ramirez, condannata a otto anni per aver fornito supporto materiale ai terroristi. Un altro è Dzhokhar Tsarnaev, il 22enne nel braccio della morte per l'attentato alla maratona di Boston. D'altra parte, si legge spesso nel sito, "Jannah è il motivo" laddove Jannah è la parola araba per il paradiso e il motivo si riferisce all'idea che, quando un musulmano raggiunge martirio, si trasforma in un uccello del regno dei cieli.
Quando ad andare indietro nel tempo si arriva al post con la foto della torta con le candeline per festeggiare l’anniversario dell’11 settembre del 2001 a New York - con tanto di ritratto di Osama Bin Laden e aereo di zucchero che si sfracella contro le torri gemelle -, il sangue si gela nelle vene.
Così come quando ci s’imbatte nella lettera scritta dalla figlia dell'ex imam radicale della moschea londinese di Finsbury Park, Abu Hamza al Masri, condannato al carcere a vita con 11 capi d'accusa relativi al terrorismo, si capisce quali sono gli obiettivi del sito. Nel racconto della ragazza al Masri è un padre amorevole, che trattava lei e la sorella come delle “principesse” e le incoraggiava ed essere “dei diamanti, non delle pietre”.
Insomma, l'obiettivo di Free Our Sisters è dipingere uomini e donne normali, che costruiscono bombe e seminano morte tra gli innocenti per "vendicare i torti", ma a casa sono persone irreprensibili, confortevoli, umane, impegnate in un progetto nobile, da sostenere e condividere. Se con con la jihad, almeno con le cartoline per manifestare la propria solidarietà ai miliziani.
E allora, mentre l’orrore dell’aspirante Califfato continua - le ultime notizie raccontano di una donna accusata di stregoneria decapitata a Sirte, in Libia e di una fatwa orale (un imperativo religioso) secondo cui tutti i neonati con sindrome di down, malformazioni congenite, o altre disabilità riscontrabili fin dalla nascita, dovranno essere ammazzati attraverso iniezioni letali entro il terzo mese di vita -, in Occidente la propaganda parla al femminile, con toni edulcorati e faccine che ridono.
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