Donne guerriere: le amazzoni della jihad
Hasan Aitboulahcen, presunta cugina dell’architetto degli attentati di Parigi, era nel covo di Saint Denis ma non è stata lei a morire da kamikaze. Tuttavia la lista delle donne guerriere è lunga.
Si chiamava Hasna Aitboulahcen la donna che per un paio di giorni si è creduto fosse la prima delle moderne amazzoni dell’Isis: donne guerriere che si fanno esplodere in Europa in nome di un uomo che si crede un Califfo. Quelle dell’antichità si opponevano all’ordine della civiltà ellenica, quelle del Terzo Millennio rinnegano quella occidentale. Quella in cui sono cresciute senza riconoscersi, mai, covando un odio che al-Baghdadi ha raccolto e incanalato per combattere la sua guerra. Perché Hasna Aitboulahcen, la 26enne morta nel blitz a Saint Denis era nata in Francia, a Clichy la Garenne, al confine con il 17 arrondissement, a 5 chilometri da dove mercoledì 18 novembre si è immolata in nome della folle Jihad proclamata dall’Isis.
Hasna Aitboulahcen, la kamikaze del blitz di Parigi
Si tingeva i capelli di biondo ma li nascondeva sotto il velo, era la cugina da parte materna di Abdelhamid Abaaoud, l’architetto degli attentati di Parigi di venerdì 13 novembre, ed è stato intercettando il suo cellulare che gli investigatori hanno scovato il covo dei terroristi. Perché Hasna era il ponte tra i fuggitivi e Raqqa, la centrale operativa dell’Isis e le sue telefonate con il Belgio, la Germania, la Grecia e la Siria hanno portato i 115 agenti dei corpi speciali della Diréction de la sécurité interieure (Dgsi) dritti dritti al numero 8 di Rue du Corbillon, a Saint Denis.
È stata lei ad accoglierli quando hanno picchiato contro la porta blindata dell’appartamento al terzo piano di un palazzo della banlieu raccontata dal film L’odio, la stessa che ha allevato i fratelli Kouachi, i responsabili della strage alla redazione di Charlie Hebdo. Secondo un’inquilina dello stesso palazzo preso d'assalto dal blitz ”Chiedeva aiuto”. Racconta la donna: “La lunga e violentissima sparatoria era cessata da almeno un'ora. C'era un silenzio cupo, profondo. Si sentiva solo la sua voce che gridava: aiutatemi! La polizia era piazzata sulla palazzina di fronte. All'altezza dello stesso piano e sui tetti. Le hanno risposto di farsi vedere, di aprire gli scuri delle finestre, di tenere le braccia alzate e le mani bene in alto. Lei, eseguiva, senza mai mostrare il suo viso. Tirava fuori le mani e le ritraeva. Due, tre volte. Poi, c'è stato un boato. Tremendo. Una esplosione fortissima. È venuto giù tutto. Il tetto dell'ultimo piano e il pavimento del terzo". Gli investigatori hanno confermato che non è stata lei a farsi esplodere come si era creduto in un primo tempo ma un terzo uomo di cui l'identità è ancora sconosciuta. La cronaca dice anche che Hasna abbia risposto ai corpi speciali che le domandavano dove fosse il suo compagno con un perentorio “Non è il mio compagno”.
“Sembrava ossessionata dalla jihad” ha commentato il capo dell’antiterrorismo Jean Michel Decussi confermando le testimonianze di chi la conosceva raccolte dalla rivista Jeune Afrique. Hasna disprezzava la Francia, uno Stato "miscredente" da combattere, voleva andare in Siria e non aveva paura di mettere in scena un attentato se il Califfato "lo ritiene utile".
Nel frattempo conduceva la sua vita dalla normalità solo apparente. Ottime scuole con ottimi risultati, un lavoro come responsabile della Beko construction, società di costruzioni specializzate fondata nel 2011 a Epinay-sur-Seine, nel dipartimento di Seine-Saint-Denis e messa in liquidazione giudiziaria nel marzo del 2014. Forse era una copertura, forse no. L'altra faccia di questa normalità usciva di notte, quando si metteva il suo cappello che le era valso il soprannome "cowgirl" e non rinunciava a serate in discoteca condite dall'impuro alcol.
Di certo non era sconosciuta alle forze dell’ordine, visto che era al centro di 3 diverse inchieste giudiziarie: una per droga, una dei servizi segreti, una dell’antiterrorismo. Accanto al suo nome, in tutti i dossier, c’era la lettera S, quella che identifica gli estremisti islamici potenzialmente pericolosi.
Donne guerriere: più di 220 dal 1985
Tuttavia, la tentazione di cedere al martirio non è una novità tra il gentil sesso. E c’è da temere che non sarà l’ultima dal momento che lo scorso marzo, per la prima volta, le ragazze di nazionalità francese emigrate per entrare nelle fila dell’Isis hanno superato il numero dei ragazzi. La cronaca ricorda la prima, Muriel Degaunque, 38enne belga di Charleroi convertita all’Islam che nel 2005 si fece saltare in aria a Baghdad trascinando con sé un soldato americano.
Senza riavvolgere il nastro fino alle amazzoni, sono più di 220 le donne che dal 1985 ad oggi sono morte da kamikaze. La prima si chiamava Sana Khyadali, era libanese, aveva 16 anni quando si lanciò contro un convoglio israeliano e morendo uccise 2 soldati e scatenando l’orgoglio dei più refrattari inaugurò la stagione delle donne guerriere.
Le immagini delle vedove nere cecene che nel 2002 assaltarono il teatro russo della Dubrovka uccidendo 129 ostaggi, di quelle che nel 2004 facevano parte del commando responsabile del massacro nella scuola di Beslan, nella repubblica russa dell'Ossezia (344 vittime tra cui 186 bambini), di quelle che nel marzo 2010 si fecero saltare in aria nella metropolitana di Mosca ammazzando 27 persone, sono stampate nella memoria collettiva.
Meno conosciute, ma altrettanto efferate, le separatiste curde del Pkk, le militanti delle Tigri Tamil nello Sri Lanka, le nigeriane di Boko Haram, le kamikaze in Palestina e quelle in Iraq. Come Reem al Reyashi, 22 anni, madre di due bambini di 1 e 4 anni. Nel video registrato prima di farsi esplodere in Iraq spiega con un dolce sorriso: "Voglio che tutti i pezzetti del mio corpo volino in ogni direzione per uccidere più nemici possibile".
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