In amore vale tutto, anche fingere per denaro: parola dei giudici
Una sentenza pronunciata dai giudici di Milano ha stabilito che "mentire sui sentimenti non integra una condotta tipica di truffa”. Tradotto: fingere di amare per ottenere denaro non costituisce reato.
In amore vale tutto, come in guerra e in affari. Anche fingere per denaro. La giustizia italiana la pensa così: “mentire sui sentimenti non integra una condotta tipica di truffa”, si legge in una sentenza pronunciata a Milano. Neppure se i sentimenti fasulli avevano come scopo quello di conquistare più che il cuore il portafoglio della presunta amata.
La storia è quella di due infermieri che lavorano in un ospedale del capoluogo lombardo. Tra i due si accende la scintilla e lui le promette mari e monti. Solo che per realizzarli ha bisogno di denaro e – guarda caso – lei un po’ di denaro ce l’ha. Ed è disposta, forte della sua busta paga da dipendente pubblico, a sottoscrivere un prestito da 10mila euro per aggiungerne altro al gruzzoletto.
Con quei soldi lui avrebbe dovuto aprire un’attività in Perù. Lei gli ha portato il denaro fino in Sudamerica. Poi, dopo il rientro in Italia, l’amara sospresa: lui la lascia. “Ti ringrazio per i soldi, ma non posso più stare con te”, le scrive, mettendo fine alla loro storia.
Incassata la fregatura sentimentale, la donna ha allora provato a recuperare i suoi risparmi. Niente da fare: le promesse continue di restituzione non hanno mai avuto seguito. Di sollecito in promessa mancata s’è approdati in Tribunale, con una denuncia per truffa e appropriazione indebita. A quel punto il giudice ha stabilito che mentire in amore in questo caso può essere lecito. Anche se è evidente che l’interessato mentiva per ottenere un tornaconto economico.
Il giudice ha spiegato che per ravvisare la truffa sarebbe necessario dimostrare con certezza che l’uomo ha mentito fin dal principio con il preciso intento di estorcere denaro alla donna. Difficile. In secondo luogo, bisognerebbe dimostrare che la donna ha dato il denaro solo ed esclusivamente perché convinta del sentimento fasullo (e non, per esempio, perché considerava un buon affare l’attività aperta in Perù). Di fronte ad accuse così difficili da provare, il giudice conclude che la truffa sentimentale “è astrattamente concepibile ma in concreto difficilmente ravvisabile”. Anche perché dagli atti del processo il magistrato desume che l’uomo ha iniziato la relazione in buona fede, scoprendo la possibilità di ottenere soldi solo in un secondo tempo.
Stesso discorso vale per l’accusa di appropriazione indebita: le parti avevano pattuito la restituzione delle somme prestate. Per la legge si tratta di un contratto di mutuo, un prestito. Così facendo, alla consegna del danaro la proprietà dello stesso è passata dalla donna all’uomo.
Finale: lui assolto, lei rimasta senza i suoi sedicimila euro, senza l’amore e il sogno di una nuova vita in Perù. Le resta la strada di una causa civile per ottenere la restituzione del prestito: un percorso lungo e tortuoso alla fine del quale si potrebbe scoprire che i soldi non ci sono più.
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