"Mothers for life", le mamme dei foreign fighters: Tornate a casa

Vivono in sette paesi del mondo. Sono le madri dei ragazzi d'Occidente arruolati nelle fila della jihad dell'Isis: donne che non si rassegnano e affidano alla rete il loro messaggio ai figli combattenti: Tornate a casa.

La voce delle "mothers for life" viaggia su quella stessa rete che ha accalappiato i loro figli portandoli a combattere una guerra lontana.


Madri coraggiose, madri disperate, madri combattenti di figli combattenti, arruolati come jihadisti dello Stato islamico. Madri che non si rassegnano e quei ragazzi vogliono riportarli a casa. Sono le mothers for life: i loro figli sono foreign fighters dell’Occidente istruito e industrializzato e loro, sparpagliate in sette paesi diversi, "lottano insieme per trovare soluzioni e progetti dopo che l'estremismo si è portato via i loro figli". La loro voce viaggia sul filo della rete e sulle piazze dei social nella speranza d’intercettare quei giovani che hanno perso un giorno, spesso dall’oggi al domani, senza alcun segnale premonitore. Nonostante la grande ragnatela virtuale, quei figli li abbia accalappiati in una guerra lontana dove si muore per davvero, loro a quella rete affidano le parole di una lettera affilata e allo stesso tempo piena d’amore. Come solo quella di una madre può essere. 

Una madre che ha tanti volti, parla tante lingue ma nel cuore ha lo stesso dolore e la stessa, irriducibile, speranza: ”Noi siamo tutte sorelle e non conosciamo confini o differenze di nazionalità - scrivono ai loro ragazzi soldato, chissà dove, nelle terre in mano all’Isis -. Stiamo aspettando il vostro ritorno. Noi, le vostre madri, vi abbiamo insegnato molte cose ma soprattutto giustizia, libertà, onore, compassione nei confronti di ogni creatura di Dio e di ogni essere umano. Anche noi abbiamo combattuto per la giustizia e l'onore, abbiamo sofferto per darvi alla luce, per nutrirvi e accudirvi, per curare il vostro spirito quando vi sentivate tristi o soli. Questa è la libertà per la quale abbiamo combattuto e che abbiamo difeso con le nostre vite, questi sono i principi che abbiamo voluto insegnarvi. Questa è la nostra jihad, attraverso il sacrificio e la dedizione per voi".

La coordinatrice delle mothers for life è la canadese Christianne Boudreau: lei suo figlio non lo rivedrà mai più, Damian è morto in Siria, un anno fa. Ora Christianne, un viso ovale e un cuore distrutto, lotta perché altre donne non vivano il suo strazio: “dobbiamo combattere il fuoco con il fuoco" dell’amore, s’intende. Perché ciascuno degli oltre 5mila volontari con passaporto europeo partiti alla volta della Siria e dell’Iraq tra cui - si stima - 3 mila tra francesi e britannici, un migliaio tra tedeschi, belgi e danesi e altrettanti tra svedesi, olandesi, italiani (59), svizzeri, norvegesi, finlandesi, irlandesi con piccole aliquote di volontari anche dagli altri Stati europei, ha una madre, o un padre, o un fratello, che piange per loro, a casa, senza darsi pace.  

Non volevamo che partiste - scrivono nella lettera -. Vogliamo che torniate. Che sopravviviate. E se pensate che la morte vi regali una vita migliore, ricordare che il profeta Maometto disse: 'Il paradiso giace ai piedi di tua madre'. Lasciandoci contro la nostra volontà, voi avete calpestato il nostro onore. Qualcuno vi ha detto che noi non abbiamo la vera fede, che i vostri fratelli in Siria sono più importanti di quelli qui a casa. Ma il legame tra noi e voi è eterno e superiore ad ogni cosa. Rimarremo sempre le vostre madri. Aspetteremo sempre il vostro ritorno, anche se invano”

Tanto più che, secondo la sharia che quei figli professano, tocca alla madre dare la benedizione al figlio che parte per la jihad. Un viatico che loro si rifiutano di concedere, anzi, negano: “Pensate di diventare veri musulmani cercando giustizia. Ma è giustizia lasciare le proprie madri e le proprie sorelle sole e indifese? È essere uomini causarci una ferita che non si rimarginerà mai?". 

Domande che stritolano le notti di queste madri mentre i loro figli sono lontani, impegnati a combattere una guerra orribile, che uccide sgozzando, lapidando, impiccando e crocifiggendo le sue vittime. Che umilia nel corpo e nella mente le sue donne. Che lascia i prigionieri senz'acqua e che, come ha dimostrato la cronaca degli ultimi giorni, semina morte anche per ingenuità. Vedi il militante che ha postato un selfie sui social e, intercettato dall'intelligence Usa, si è beccato una raffica di bombe in testa. Sono morti i cattivi, dice la guerra. Sono morti dei figli, dice una madre. Morti che non dovrebbero più esserci  di qua, né di là, dice il buon senso.

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