Sally Ride, la prima astronauta americana nello spazio, lievita su Google
Google dedica il doodle del 26 maggio a Sally Ride. Il motore di ricerca celebra l'anniversario della nascita (64 anni fa) della prima astronauta americana nello spazio. Tutto iniziò per caso, quando rispose a un annuncio nella bacheca della Stanford University.
Sally Ride fa lievitare nello spazio una bambina, lievita su un palcoscenico, lievita in un'astronave. Sono diversi i doodle che Google le dedica nell’anniversario della sua nascita, il 26 maggio di 64 anni fa, età che avrebbe oggi, se non fosse morta nel 2012. Sally Ride è stata la prima astronauta a stelle e strisce ad essere andata nello spazio, il 18 giugno 1983, a bordo della STS-7 che la riportò con i piedi per Terra 6 giorni dopo. Ma Sally Ride sarebbe potuta essere anche una tennista professionista, carriera che abbandonò per studiare fisica all’Università di Stanford. Così come sarebbe potuta essere un'autrice di libri divulgativi per bambini che pubblicò insieme alla sua (segreta) compagna la tennista Tam O’Shaughnessy, conosciuta da giovane e rimasta al suo fianco per 27 anni, nonostante un matrimonio, dal 1982 al 1987, con il collega astronauta Steven Hawley. Perché Sally Ride sapeva bene che alla Nasa funzionava come nell'esercito e in fatto di vita privata era meglio "don't ask, don't tell".
Sally Ride ha trovato la strada che l’avrebbe portata a lievitare nello spazio per 340 ore quasi per caso, appesa alla bacheca dell’Università: la Nasa cercava 35 astronauti e lei, cresciuta a dritti e rovesci, passi svelti e decisi non ci ha pensato due minuti. Un gradino dopo l’altro ha scalato le 8mila persone (mille le donne) che facevano la fila per quei 35 posti e alla fine del 1978, a 27 anni, si ritrovò ad essere una di loro, una della Nasa.
Lavora sodo Sally, fa un training dopo l’altro, partecipa a due missioni da terra in attesa della grande occasione che arriva il 18 giugno 1983, quando George W.S. Abbey, direttore delle operazioni di volo, la sceglie per la sua “capacità non comune di risolvere i problemi di ingegneria” per la settima missione del programma Space Shuttle e il secondo volo per il Challenger. Era la prima volta che una donna americana volava nello spazio.
Non la prima della storia perché i sovietici, vent’anni prima, avevano già mandato in orbita Valentina Tereshkova a bordo del Vostock 6. Poco importa: la STS-7 fece la storia per altri due motivi. Si trattava della prima missione con un equipaggio a cinque (prima gli astronauti erano tre) e della prima in cui fu messo in azione il braccio robotico (che la Ride aveva contribuito a progettare) per rilasciare e recuperare un satellite. Insomma, fu la prima volta in cui gli astronauti si ritrovarono a fare i meccanici in assenza di gravità. Dettaglio non da poco visto che ha dato il via alla possibilità di riparare gli eventuali danneggiamenti. Quella volta, la sua prima, Sally Ride rimase nello spazio 147 ore e insieme ai suoi colleghi spedì in orbita due satelliti di comunicazione e fece ricerche farmacologiche.
Tornata sulla Terra ci rimase meno di un anno: fu infatti di nuovo a bordo della missione STS 41-G del 1984, con cui venne rilasciato il satellite Earth Radiation Budget. Quella, invece, fu la prima volta in cui gli astronauti già meccanici, si rivelarono anche abili benzinai per i satelliti in orbita, rifornendoli di carburante. La sua terza missione spaziale, invece, venne cancellata dopo il disastro del Challenger del 1986 e Sally continuò a lavorare per la Nasa con i piedi ben saldi a terra ma lo sguardo sempre rivolto all’insù: nel 1989 diventò il direttore del California Space Institute dell’Università della California di San Diego e docente presso lo stesso ateneo.
Ma il desiderio di Sally Ride, l'astronauta che per prima in America aveva guardato la sua Terra da lassù, era abbattere le barriere: per questo fonda la Sally Ride Science per promuovere la partecipazione delle donne al settore scientifico. Una fondazione che dopo la sua morte, il 23 luglio 2012 a La Jolla, in California, passa nelle mani della sua compagna di vita Tam O’Shaughnessy. Una vita vissuta all’insegna del don't ask, don't tell. Just do it. Non chiedere, non dire. Fallo.
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