Guerlin Butungu, i fratelli e il nigeriano: gli stupratori di Rimini
Arrestati tutti i membri della banda degli stupratori di Rimini: Guerlin Butungu, congolese, è l'unico maggiorenne, gli altri sono due fratelli marocchini e un nigeriano.
Le telecamere di sorveglianza dei Bagni 130 di Rimini, quelli dove il 26 agosto hanno stuprato una 26enne polacca gli aveva dato un volto, la polizia che li ha arrestati nel primo fine settimana di settembre, gli ha dato un nome. Ora tre amiche della compagnia dove “ci sono marocchini, albanesi, e cinque italiani”, che si ritrova sulle panchine di piazzale Matteotti a Montecchio di Vallefoglia (PU), chatta su WhatsApp e va “a Pesaro, a divertirci, perché qui non c'è niente”, gli danno un passato, rivelando dettagli agghiaccianti sul più piccolo dei quattro, 15 anni appena.
Il nome di Guerlin Butungu, 20enne congolese, ammanettato domenica, per ultimo, mentre tentava di scappare in Francia è l’unico reso noto perché lui, dipinto come il capo branco, è l’unico maggiorenne. Lui, confessano le 15enni a un inviato di Repubblica, “parlava poco. Diceva di essere scappato dalla guerra, ma non ne voleva parlare. Spacciava alla stazione, fumo e ganja, aveva sempre soldi”. Gli altri sono K. e M., due fratelli marocchini di 15 e 17 anni, e L., nigeriano, anche lui 17enne, “l’unico che non rubava (…) A lui la famiglia comprava tutto, stanno molto bene, gli hanno regalato l'iPhone”.
Eccola, la banda di sbandati che si è sfaldata sabato 2 settembre: per primi si sono costituiti alla caserma dei carabinieri di Montecchio, in provincia di Pesaro, i due marocchini, anticipando di poco gli investigatori che erano già sulle loro tracce. Poco dopo è stato arrestato il nigeriano. Domenica è arrivato il turno di Guerlin, braccato in treno. Hiba, Margherita e Irene, tre 15enni di origini marocchine, le loro amiche, lo sapevano che sarebbe finita così. Loro, tre ragazze che degli arrestati, e in particolare di K., avevano il terrore e perciò avevano tenuto la bocca chiusa.
Perché anche se il più giovane della banda le chiamava “sorelle” e le trattava come “cugine”, faceva paura: “Uno psicopatico - raccontano -. Parlava solo di uccidere e violentare. Era anche noioso, in questo. Ma non ci ha mai toccate, e noi comunque facevamo attenzione. Stavamo sempre insieme, noi tre". Alla festa di Margherita, 3 giorni prima dello stupro, “K. disse una cosa che ci lasciò tutti di m...Aveva puntato una mia amica, Laura, che gli piaceva molto. Disse: adesso la faccio bere e poi la violento". Lì per lì c’è chi ha riso, chi gli ha dato dello “scemo”, chi c’è “rimasto male”. Non loro, non le 3 cugine: “Laura si è spaventata moltissimo, ed è rimasta con noi tre tutta la sera, appiccicata a noi”. Perché “eravamo sicure che prima o poi ammazzasse o violentasse qualcuno. Lo diceva sempre. È violento, vuole sempre fare a botte con tutti, se vede uno che non gli piace si alza e va a menarlo”.
Il pomeriggio di sabato, poche ore dopo gli stupri (la banda ha violentato anche una trans peruviana) erano tutti alla stazione, come succede spesso: "c'era molta polizia - raccontano le tre ragazze -. C'eravamo anche noi…Loro quattro erano lì, siamo andate a salutarli. Abbiamo visto i controlli, chiedevano i documenti, un poliziotto ha anche squadrato per bene K, davanti e dietro, poi se ne è andato". M., il più grande dei due fratelli marocchini, era nervoso: “continuava a chiedere ‘ma chi cercano? Magari c'è un politico? O un cantante? O stanno cercando qualcuno?’. K invece era tranquillo, rideva e scherzava". Anche Guerlin Butungu - che la compagnia aveva soprannominato “il Biondo, per scherzo, no? Lui così nero” -, era lì. E quando M., gli ha sussurrato “sai cosa abbiamo fatto, no?”, l’ha liquidato con "Stai zitto, fra', cioè fratello". Le ragazze hanno sentito lo scambio di battute ma solo più tardi ne hanno capito il significato.
Si sono insospettite quando “sono spariti da WhatsApp. Biondo non era nella chat, ma gli altri tre, muti, non si sono più collegati. Abbiamo pensato che era strano. Poi sono proprio spariti, nessuno della compagnia li ha più visti. Ci siamo dette: ‘E se fossero loro?’”. Quando è stata diffusa l’immagine delle telecamere “li abbiamo riconosciuti. Guarda qua: A sinistra c'è M., quello in mezzo è L., a destra c'è K.". Terrorizzate, si sono chieste cosa fare perché "erano solo dei sospetti, come fai a dire che secondo te sono stati loro, chi ti crede?”. I genitori di Hiba si sono opposti: “Mia madre ha deciso che era meglio non denunciarlo, viene da una famiglia un po' pericolosa, nessuno dei nostri genitori li frequenta più”. Ma era solo questione di tempo.
Ora i colpevoli sono tutti in custodia cautelare, il Comune di Rimini si costituirà parte civile al processo, la Polonia ha chiesto l'estradizione. Nemmeno i genitori non saranno clementi: “Gli ho detto di andare subito dai carabinieri - ha confessato il papà dei due marocchini, saldatore, in Italia da anni, padre di altri 2 figli -. Può capitare che uno rubi un telefonino, ma non che uno violenta una donna. Se hanno fatto una cosa del genere devono pagare". In attesa della giustizia, oltre alla gogna social, c’è quell’umiliazione subita da Guerlin Butungu, arrestato da due poliziotte, “la peggiore mortificazione per chi commette un reato nei confronti delle donne”, ha commentato Maurizio Improta, Questore di Rimini.