Camilla Filippi: l'attrice e visual artist dai mille volti
Camilla Filippi, 37 anni, attrice ed artista visiva, racconta le sue metamorfosi sul set e nelle Camilla Psychedelic Breakfast, il suo essere madre di due figli e moglie del regista Lucio Pellegrini.
Una, nessuno e centomila: eccola, Camilla Filippi, trentasettenne “sicura di me”, attrice “fragile” e visual artist “libera”, ma anche moglie “incostante” e madre “rigorosa”, che con la metamorfosi ha una certa dimestichezza. E non solo quando è sul set e si cala in uno dei suoi personaggi. Succede anche di prima mattina, quando davanti a una tazza vuota diventa qualcun altro nelle Camilla Psychedelic Breakfast - le colazioni psichedeliche che condivide con i suoi 14mila follower su Instagram e da qualche tempo anche nei musei e nelle mostre in giro per l’Italia - e in quegli autoscatti regala un pezzettino di se stessa. Scampoli di emozioni.
Quanto s’influenzano le tante Camille di Camilla?
“Parecchio. Non è possibile giocare a compartimenti stagni. La mia grande fortuna è di avere diversi canali di espressione per incanalare le mie esperienze e trasformarle in qualcos’altro. Gli stati d’animo diventano immagini negli scatti fotografici, la maternità diventa esperienza sul set (in Tutto può succedere interpreta Cristina, madre di un bambino con la sindrome di Asperger, n.d.r.) e il set comporta sempre una crescita che si ripercuote nella vita di tutti i giorni”.
Attrice e artista: Camilla e Kamilla lavorano allo stesso modo?
“Premesso che sono convinta che vivere le esperienze fino in fondo, mettendosi in discussione sia la base per qualsiasi tentativo artistico, l’attrice e l’artista che convivono in me lavorano (e reagiscono) in modi molto diversi. Sul set sono maniacale, metodica, secchiona ma aperta al cambiamento; davanti all’obiettivo, invece, do sfogo alla mia parte irrazionale, ascolto i miei stati d’animo e li trasformo in immagini. Senza l’ispirazione non vado da nessuna parte”.
Tra i tanti, sei stata Einstein, Yoko Ono, Amy Winehouse, Amelie, Drugo, Hitler: con chi ti sei sentita più a tuo agio?
“C’è una foto che mi rappresenta più di tutte le altre ma non lo dico perché è troppo intima. Diciamo che sono emotivamente legata a Lucio Battisti, Edward mani di forbici e Van Gogh. Perché oltre alle foto c’è la didascalia e quella del pittore olandese è “La cosa più artistica che posso fare è amare gli altri” concetto in cui credo molto”
Fai tutto da sola?
“Assolutamente sì: quando ho capito chi voglio essere, vado a cercare in giro per casa il trucco, il parrucco (non ho quasi mai comprato nulla per i miei travestimenti) e poi porto tutto in bagno, apro il computer e inizio la mia metamorfosi. Non sono brava a disegnare ma riesco a copiare molto bene: alla fine, quando mi sento pronta mi piazzo davanti alla macchina foto (prima le facevo con l’iPhone) e con il mestolo da cucina faccio partire l’autoscatto. Di solito quello buono sta nei primi dieci”.
Ti aspettavi questo successo?
“Per nulla. All’inizio ridevano tutti, ora vogliono tutti le mie foto! Quando mi sono ritrovata nella campagna #GucciGram, ho capito che avevo fatto qualcosa di grande senza sforzo. Poi hanno iniziato a chiamarmi per le mostre e questo mi provoca grande soddisfazione ma anche grande ansia: a differenza di un film, qui dipende tutto da me. In ogni caso voglio crescere ancora: adesso sto lavorando a progetto più intimo che ha a che fare con la morte in cui dirigerò persone all’interno di una foto”.
Che cosa sognava la Camilla bambina?
“Di diventare un’attrice. Anche un’architetta, a dire la verità, ma mi spaventava la mole di studio. Peccato che abbia capito tardi che lavorare sul set è ancora più faticoso e preveda esami e confronti più complessi da un punto di vista umano”.
Hai iniziato con gli spot di Barilla e Benetton: come l’hanno presa i tuoi compagni?
“All’inizio è stato mostruoso, orrendo: mi trattavano come un animale da circo. E anche se era quello che volevo io (nessuno in famiglia mi ha spinto), il mio ego gigantesco si è ritrovato a fare i conti con l’altra parte di me, che voleva diventare inesistente. Non ho reagito bene, anche perché non capivo bene da che cosa ero mossa: avevo molta rivalsa sociale, molta rabbia soffocata. Crescendo le cose sono cambiate, come tutti ho capito che tutti hanno dei limiti e all’interno di questi limiti ciascuno fa quel che può. Siamo esseri fragili”.
Com’è lavorare con tuo marito, il regista Lucio Pellegrini?
“Meraviglioso! Purtroppo l’abbiamo fatto solo due volte: sul set andiamo veloci è tutto molto semplice oltre al fatto che mi sento protetta. Certo, nella logistica familiare è un po’ più complicato ma non avrei mai potuto avere accanto un uomo che non facesse cinema”.
Vinta la battaglia con la bulimia, come prepari i tuoi figli alle difficoltà della vita?
“Con la consapevolezza: la mia bulimia nasceva dallo scontro tra il mio ego enorme e il mio desiderio di essere trasparente ma anche da una scarsissima educazione alimentare. I miei due figli sono maschi, quindi meno esposti al rischio, tuttavia, visto che in media durante tutta la vita mangiamo 35 tonnellate di cibo, sono molto rigorosa nel trasmettergli sane abitudini. Di certo, con loro parlo molto di bullismo e non mi stanco mai di ripeter loro che non solo la vittima, ma anche il carnefice ha bisogno di aiuto: un bambino violento è un bambino che soffre e merita ascolto”.
Serie tv, tv on demand: il futuro è nel piccolo schermo?
“Ovviamente sì, anche se in Italia siamo ancora un po’ provinciali e gli attori delle serie vengono guardati dall’alto in basso. Purtroppo io non sono snob e amo l’idea di fare un personaggio per quattro stagioni, di farlo crescere in un percorso. Senza contare che quando non lavoro, non fotografo, non faccio la mamma o la moglie, non vado in palestra e non studio guardo serie tv. Ho appena finito Love, The crown e Peaky Blinders e li ho amati. Ma io guardo tutto, anche quello che non mi piace, può sempre fornire qualche ispirazione”.