La Corte di Strasburgo condanna l’Italia: non fermò un padre violento

La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l'Italia per non aver protetto una donna e suo figlio, sottovalutando la violenza del marito che quel figlio l'ha poi ucciso a coltellate. 

La Corte di Strasburgo ha condannato l'Italia: se la macchina della giustizia si fosse mossa prima la situazione non sarebbe precipitata. © loganban/123RF

Ion, quel figlio ucciso a 19 anni dalle coltellate di suo padre potrebbe essere ancora vivo. Ed Elisaveta, quella madre e moglie ridotta in fin di vita, avrebbe un passato (e un presente e un futuro) meno devastante con cui dover fare i conti. La condanna arriva da Strasburgo dove la Corte europea dei diritti umani ha tuonato: “l’Italia è venuta meno ai propri obblighi” e, nello specifico, “le autorità non sono intervenute prontamente in un caso di violenze in famiglia”. 

I fatti: siamo a Remanzacco, in provincia di Udine, è il 19 agosto 2012 quando Elisaveta Talpis, 49 anni, di origini romene, viene minacciata con un coltello dal marito Andrei che la costringe ad avere rapporti sessuali con alcuni amici. La donna va in ospedale, ha lesioni multiple, viene curata e la denuncia scatta in automatico. Poi viene accolta da un’associazione che aiuta le vittime di violenza sulle donne. Passano tre mesi ed è punto a capo: deve lasciare la struttura, si ritrova a dormire per strada, poi da un’amica. Arriva il 4 aprile 2013, giorno in cui Elisaveta Talpis "è stata ascoltata per la prima volta dalla polizia e ha modificato le proprie dichiarazioni alleggerendo le accuse". La cronaca confermerà che la situazione non era migliorata ma lei e suo figlio cercavano solo di sopravvivere. Il 25 novembre l’ennesima lite: lui è ubriaco, finisce all’ospedale e nel frattempo lei chiama la polizia. Andrei viene dimesso, tornando a casa viene multato, entrando in casa prende un coltello in cucina, aggredisce Elisaveta, s’intromette Ion che cerca di dividerli. E muore.

Condannato all’ergastolo nel gennaio 2015, Andrei ha scatenato la reazione di Strasburgo che, una volta per tutte, ha condannato un’inettitudine che troppo spesso condanna a morte le vittime indifese: “Non ci sono spiegazioni plausibili per l’inerzia delle autorità per un periodo così lungo, sette mesi, prima di avviare il procedimento penale”, scrive la Corte, secondo cui chi doveva agire e non ha agito ha, di fatto, “avallato” la violenza violando gli articoli 2, 3 e 14, rispettivamente il diritto alla vita, la proibizione della tortura il divieto di discriminazione. Ora Elisaveta ha diritto a 30mila euro per danni morali subiti e 10mila per le spese legali sostenute. Questa volta, se nessuno muoverà un dito, la sentenza sarà effettiva e farà un po' più di giustizia in questa triste storia purtroppo simile a tante altre.

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