Discriminazione femminile: per le donne il costo della vita è maggiore
La "gender tax", la tassa rosa, sta infuocando il dibattito: secondo il Washington Post il privilegio di essere donna costa 1200 in più, una discriminazione (femminile) che passa tra i banchi del supermercato.
La discriminazione femminile passa anche per lo scontrino. Non bastavano gli stipendi più bassi, a complicare lo scenario ora si mettono anche i conti più salati. Tutta colpa della sua longevità, merce assai preziosa a chi di commercio s’intende. Non solo se si tratta di vendere mutui e assicurazioni, ma anche quando si parla di abbigliamento e bellezza, scaffali in cui la donna spende volentieri, dall’adolescenza alla vecchiaia. Il fatto è che, senza volerlo e pur facendo attenzione, spende il 20% in più degli uomini. Che, però, non vanno certo in giro nudi o con i capelli sporchi.
Il caso che ha già il triste epiteto di “gender tax”, tradotto con “tassa rosa”, è scoppiato a New York dove il Department of Consumers Affairs della City ha passato in rassegna 800 prodotti uguali, ha fatto i conti e ha rivelato come quelli destinati alle donne fossero più cari. Alla ricerca di riprove della discriminazione femminile tra gli scaffali sei supermercati, i media e le università si sono scatenati. Il Washington Post ha tirato le somme: ogni anno, il privilegio di essere donna costa circa 1200 euro in più. Il mago delle classifiche Forbes ha cercato la discriminazione in lavanderia e l’ha trovata: lo scontrino lievita se la camicia button down è da donna, uguale ma più piccola a quella di un uomo. L’University of Central Florida ha passato al setaccio i deodoranti, scoprendo che quelli con fragranze (ma non ingredienti, che sono uguali) femminili costano, in media, il 30% in più.
Incuriosito dalla gender tax, il Times ha scatenato i suoi reporter tra le corsie dei grandi magazzini di Londra. Risultato: i rasoi in vendita da Tesco sono uguali, adatti alle gambe delle donne e alla barba degli uomini. Peccato che il gentil sesso li paghi quasi il doppio. Stesso discorso per una confezione di Chanel Allure - da Boots costa 30 sterline alle donne e 23,5 agli uomini - e perfino in cartoleria, dove per una Bic For Her servono 2,99 sterline contro 1,98 delle Bic e basta, quelle che si suppone usino gli uomini. Si diceva dall’adolescenza alla vecchiaia, in realtà la discriminazione femminile ha inizio fin dai tempi dell’infanzia: più cari i monopattini (49,99 contro 24,99 dollari da Radio Flyers) e perfino le navi della Playmobil (la Fairy Queen Ship costa 37,99 contro i 24,99 dollari necessari per comprare la Pirate Ship). Perfino importare dagli Stati Uniti costa di più: il 10% contro l’8% di tasse per un paio di sneakers uguali e identiche, molto probabilmente solo più piccole e magari rosa.
A questo punto è una rincorsa alla discriminazione da un lato e alla toppa dall’altro: “I negozianti devono spiegare perché applicano alle donne prezzi maggiori – ha tuonato da Londra Maria Miller, capo per il Comitato dell’eguaglianza -. La società sta cambiando riavvicinando i generi, ma loro dimostrano di essere completamente estranei a questa tendenza”. Elementare Watson: business is business.
Tra chi è corso ai ripari c’è la California e la Contea di Miami-Dade in Florida dove sono state approvate leggi per vietare la discriminazione femminile quando si ha a che fare con merci identiche. Nel frattempo, l’unica arma che hanno le donne è frugare tra gli scaffali degli uomini: depilarsi le gambe con la schiuma da barba non ha prezzo. Anzi sì, costa molto meno!
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