L'Alzheimer è davvero trasmissibile? Ecco tutta la storia

La malattia di Alzheimer potrebbe essere trasmissibile. Secondo i test condotti da uno studio inglese, in alcuni casi circoscritti, sarebbe causata da procedure mediche, dovute alla contaminazione con prione.

Secondo uno studio pubblicato su Science, l'Alzheimer potrebbe essere contagioso. Ma le conclusioni non sono definitive.


La notizia è di quelle che vanno prese con le pinze. L'Alzheimer, sostiene uno studio appena pubblicato su Science, potrebbe essere stata trasmessa da paziente a paziente. Ma attenzione: attraverso alcune procedure mediche e in particolari situazioni. I ricercatori basano tutte le loro teorie su otto soggetti, relativamente giovani, inglesi. La loro storia è complessa.

Primo passaggio. Ai primi del Novecento il dottor Aloysius Alzheimer scoprì una serie di irregolarità facendo l'autopsia di una donna, che era stata ricoverata con una espressione smarrita e difficoltà a riconoscere il marito. Le due proteine che trovò Alzheimer nel suo cervello sono considerate oggi parte integrante del male cui il medico ha dato il suo nome.

Secondo passaggio. Tra il 1950 e il 1985 circa 30 mila persone, soprattutto bambini con deficit dell'ormone della crescita, lo ricevevano attraverso iniezioni. L'ormone era spesso estratto dalle ipofisi, cioè la ghiandola posta alla base del cranio, di cadaveri - sfortunatamente alcuni di questi (circa il 6%) erano contaminati da prioni, proteine dalla forma mutata che provocano malattie degenerative, nello specifico la malattia di Creutzfeldt-Jakob, o mucca pazza. Per le centinaia di persone che ricevono iniezioni di ormone della crescita, va chiarito: già dal 1985 è stato sostituito con una alternativa sintetica.

Terzo passaggio. Al Medical Research Council del Centro Studi sul Prione, a Londra, si fanno autopsie sui soggetti morti per malattie legate ai prioni, acquisiti dopo le iniezioni sfortuite. Con grande sorpresa, i medici si accorgono di depositi di beta amiloide, la famosa proteina che Alzheimer trovò nella sua paziente più di cent'anni fa. Otto autopsie mostrano un solo paziente completamente privo della proteina dell'Alzheimer. Altra stranezza, tutti e otto i soggetti avevano, al momento della morte, tra i 36 e i 51 anni: molto giovani per manifestare una malattia degenerativa. Anche il tessuto cerebrale non era quello comune alle altre persone decedute per mucca pazza. Infine, nessuno degli otto aveva le comuni alterazioni genetiche legate all'Alzheimer. La teoria dei ricercatori, guidati dal noto professor Collinge, è stata: i pazienti sono stati contaminati da frammenti di beta amiloide, attraverso trasfusioni o ferri chirurgici.

La comunità scientifica, invece, è divisa e invita a non cedere a facili allarmismi. Come si diceva, meno di una decina di casi non sono una statistica definitiva e, soprattutto, il quadro si presta a molte interpretazioni, altrettanto valide: che il prione ad esempio acceleri l'accumulo della proteina dell'Alzheimer in soggetti già predisposti. O che le stesse iniezioni infettate da prioni, contenessero fin dall'inizio anche beta amiloide.

Di base, a cento anni dal primo caso scoperto da dottor Alzheimer, la malattia neurodegenerativa più comune resta ancora un mistero. Ma per essere fermata, è necessario prima di tutto arrivare a comprenderla.

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