Aylan Curdi, il profugo siriano morto a 3 anni sulla spiaggia di Bodrum
L'Independent pubblica la foto del piccolo Aylan Curdi, il profugo siriano morto a 3 anni sulla spiaggia di Bodrum perché “Se queste immagini non riescono a cambiare l'atteggiamento dell'Europa verso i rifugiati, cosa potrà farlo?”.
Era un profugo siriano, Aylan Curdi. Aveva tre anni quando è morto. Un bambino con un sorriso grande così, un fratello più grande e due genitori che mentre organizzavano la fuga da quel paese dimenticato dal resto del mondo alla ricerca di un posto migliore dove vivere le loro quattro vite, gli raccontavano di paesi lontani, in pace, dove i pomeriggi si passano ai giardinetti, a giocare senza paura. L’hanno trovato sdraiato a faccia in giù sul bagnasciuga della spiaggia di Bodrum, senza vita. Aylan aveva le mani lungo i fianchi, addosso ancora i pantaloncini scuri e la maglietta rossa e le scarpe allacciate. Un’immagine che spezza il cuore, che scuote la coscienza di chiunque ne abbia una, che racconta una tragedia che va fermata. L'Independent ha deciso di pubblicarla in copertina perché “Se queste immagini non riescono a cambiare l'atteggiamento dell'Europa verso i rifugiati, cosa potrà farlo?”. Già, cosa potrà farlo?
Ci sono foto che hanno cambiato la storia. Quelle della guerra in Vietnam, prime tra tutte. Il mondo si fermò di fronte a Kim Phúc, la bambina di 9 anni che correva nuda perché il Napalm le aveva distrutto i vestiti. Mezzo secolo dopo la tragedia di chi scappa dal Medio Oriente e dal Nord Africa da paesi incastrati in guerre dimenticate alla ricerca di un riscatto che in pochi vogliono rendere possibile, ha il volto di Aylan Curdi, morto insieme ad altri cinque bambini e sette adulti, poco dopo aver lasciato la penisola di Bodrum alla volta dell’isola greca di Kos. Una rotta che i media raccontano quasi ogni giorno, gli uomini ascoltano distratti, i politici schivano. Perché, come scrive il quotidiano inglese, “è troppo facile dimenticare la realtà della situazione disperata di molti profughi”.
Profughi che affidano le loro vite a imbarcazioni precarie buttate tra le onde del Mar Egeo e Mediterraneo da uomini senza scrupoli. Profughi che se sopravvivono si ritrovano davanti a muri (ungheresi) e fili spinati (macedoni). Profughi che si nascondono nei camion e muoiono asfissiati (in Austria), profughi che invadono il tunnel della Manica e scatenano la rabbia degli inglesi che non li vogliono. Profughi che non capiscono le regole dell’Europa che vorrebbe sparpagliarli nel Vecchio Continente secondo quote ben precise. Profughi che muoiono, come il piccolo Aylan.
Profughi che David Cameron non vuole più: “Abbiamo preso molti richiedenti asilo veri dai campi profughi siriani - ha detto il premier britannico, parlando con alcune televisioni - Ma pensiamo che la cosa più importante sia cercare di portare la pace e la stabilità a quella parte del mondo”. Una stabilità che non arriverà dalla sera alla mattina e intanto farà altre vittime. Un cinismo che non tutti riescono a mandare giù.
Non è un caso se l’altra foto che ha fatto il giro del mondo è quella postata da Sandra Tsiligeridu, una turista greca che a bordo di una barca stringeva a sé un profugo siriano salvato dopo 13 ore di mare non lontano da Kos. "Mohamed si è tuffato in acqua dopo che uno dei remi della piccola zattera era caduto", ha scritto Sandra sul suo profilo Facebook. "L'alto mare e le forti correnti gli hanno impedito di risalire a bordo, la sua famiglia gli ha gettato il galleggiante che alla fine gli ha salvato la vita. Mi ha afferrato la mano e mi ha detto: 'grazie', una parola che non dimenticherò mai".
In Islanda c’è Bryndis Bjorgvinsdottir, una giovane professoressa e autrice che al grido di "Solo perché non sta accadendo qui non significa che non stia accadendo" ha creato una pagina Facebook per capire chi sarebbe stato disposto ad ospitare i profughi siriani. ”Viviamo in un tranquillo villaggio di pescatori - scrive - e abbiamo stanze per ospitare più bambini". E ancora: "C'è la cucina, un salotto, ho tanti vestiti e io so insegnare l'inglese, li aspettiamo". In pochi giorni, in un’isola popolata da poco più di 300mila persone, hanno risposto di sì in 15mila. Tanto che perfino la ministra del Welfare Eygló Harðardóttir ha dichiarato la sua disponibilità a riconsiderare la quota: "Vogliamo più rifugiati, sono risorse importanti e hanno esperienze e capacità. Saranno i nostri futuri amici, vicini di casa...".
Nella Germania di Angela Merkel che sembra aver messo da parte il suo pugno di ferro di fronte all’emergenza profughi, dalla fine del 2014 è attivo il sito Flüchtlinge Willkommen (Benvenuto rifugiato) che mette in contatto i profughi appena arrivati con persone disposte ad ospitarli in casa, a seconda della città e della disponibilità di spazio.
Insomma, libere iniziative di privati cittadini decisi a rendere questo mondo un posto migliore, non solo per chi scappa ma anche per chi vive in pace. Perché guardare la foto di Aylan Curdi e continuare la propria vita come se nulla fosse non è possibile. Non è umano.
Copyright foto: Twitter@Independent
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