Congedi parentali: chi, come, quando, perché
Congedi parentali, estesi i termini: si può arrivare fino a sei e dodici anni del figlio, si perde lo stipendio, ma si conservano i contributi e il posto di lavoro. La legge che investe sul tempo che i genitori passano con i figli va nella giusta direzione.
Il governo prova a investire sul tempo che i genitori passano con i figli. Lo fa negli ultimi decreti attuativi del Jobs Act dove il cosiddetto congedo parentale - la burocrazia non è campionessa di scelta dei nomi - si allunga. Prima era possibile solo fino a quando il pargolo aveva compiuto tre anni con un’indennità pari al 30% della retribuzione e fino a otto anni senza indennità. Oggi si può arrivare fino a sei e dodici anni. Si perde lo stipendio, tutto o in parte, ma si conservano i contributi - e qui sta l’investimento del governo - e il posto di lavoro (e qui bisognerà verificare la lealtà dei datori di lavoro, che con le nuove regole hanno più libertà di licenziare). Attenzione: chi ha uno stipendio molto basso (ovvero di importo inferiore a 2,5 volte la pensione minima), mantiene l’indennità del 30% anche nel periodo che va dai tre agli otto anni.
A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, resta sulla carta almeno l’intenzione di integrare il diritto del lavoro con una flessibilità che per una volta va a vantaggio delle famiglie. I genitori possono usufruire di un periodo massimo di sei mesi ognuno, frazionabili in più volte, purché la somma dei periodi resti sotto i dieci mesi. E per incoraggiare i padri a staccarsi dal ruolo cravatta-ufficio-impegni, i dieci mesi diventano undici se il papà chiede un periodo superiore ai tre mesi. Lo scopo è “soddisfare i bisogni affettivi e relazionali” del pargolo. Non servono malattie né situazioni particolari (per chi non sta bene o è disabile ci sono norme specifiche, mentre per le famiglie in condizioni economiche disagiate, oltre al mantenimento dell’indennità, il governo sta studiando un periodo di congedo più lungo).
I periodi di congedo vengono contati nell’anzianità lavorativa, quindi sono validi ai fini degli scatti, ma non per le quote di tredicesima né per il conto dei giorni di ferie maturati. A fine anno, insomma, il bonus di dicembre sarà ridotto in proporzione. È anche possibile frazionare il congedo per ore. Un genitore, per esempio, può uscire due ore prima dal lavoro fino a raggiungere un periodo equivalente a sei mesi lavorati (circa due anni, quattro volte tanto ipotizzando una giornata lavorativa di otto ore). A dire il vero, il frazionamento dovrebbe essere regolamentato dai contratti di lavoro: pochissime categorie ad oggi lo hanno fatto.
Il diritto al congedo parentale è riconosciuto ai “lavoratori e alle lavoratrici dipendenti titolari di uno o più rapporti di lavoro in atto”, ma anche alle “lavoratrici madri autonome per un periodo massimo di tre mesi”: in questo caso il legislatore ha tenuto fuori il padre. Nel caso ci sia un solo genitore, questo può chiedere di sfruttare l’intero periodo di dieci mesi: la bozza pronta per l’approvazione non dice ancora se resta valido anche in questo caso il mese in più per il papà (sembra difficile, perché diventerebbe discriminatorio nei confronti delle mamme rimaste sole) o se il periodo venga esteso a undici mesi comunque (c’è da augurarsi che sia così).
Secondo il governo il nuovo congedo entrerà in vigore “prestissimo”, giusto il tempo di pubblicarlo in Gazzetta Ufficiale. Il provvedimento è stato licenziato dalle commissioni tecniche della camera e anche dal Consiglio dei ministri, manca solo un via libera definitivo. Insomma, infarcita com’è di condizioni e complicazioni e variabili incrociate, la legge non è propriamente di modello scandinavo. Sarebbe però ingeneroso non riconoscere che va nella direzione giusta.
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