Khaled Fouad Allam: il sociologo dell'Islam è morto in un albergo a Roma
Khaled Fouad Allam: l'islamista arguto e gentile è morto in una stanza d'albergo a Roma. Di origini algerine, il sociologo italiano aveva 60 anni. Un'autopsia accerterà le cause del decesso. Dal palco del Salone del Libro di Torino aveva detto: "Siamo in guerra".
Mancherà la sua voce calma e pacata, dall’accento francese. Mancheranno le sue considerazioni da intellettuale arguto, gentile, affilato. In un periodo come questo, dove sull’Islam si dice di tutto e di più, di Khaled Fouad Allam, nato in Algeria, cittadino italiano da molti anni, docente di Sociologia del mondo musulmano e Storia dei paesi islamici all’Università di Trieste e islamista a quella di Urbino, si sentirà la mancanza come non mai. È morto a Roma, il 10 giugno, all’ora di pranzo, in una camera d’albergo vicino alla Stazione Termini. Per stabilire che cosa l’ha ucciso è stata disposta un’autopsia. Al momento si pensa a cause naturali: in mattinata aveva avuto un malore ma non aveva voluto farsi medicare. Vista la portata del personaggio, però, gli inquirenti vogliono fugare ogni dubbio.
Khaled Fouad Allam aveva 60 anni e ancora molte cose da dire. Molte ne ha dette, primo tra tutti, sulla sua cultura che amava e cercava di raccontare oltre gli stereotipi, snocciolando i suoi pensieri in tv, sui libri e nelle aule universitarie. Con la sua cultura umanistica, il suo spirito laico, Come quando dopo l’11 settembre, lui che era figlio di quell’Algeria dilaniata dall’Islam politico jihadista, senza sconti né retorica, si era cimentato per invitare la gente a riflettere sulla complessità del fondamentalismo armato.
“Il vero problema — aveva spiegato nel 2002, all’uscita del suo L’Islam globale (Rizzoli), uno dei libri che l’ha fatto conoscere di più in Europa — è che sta dilagando in una parte del mondo islamico una cultura della morte, legata sì a delle situazioni molto complesse ma non per questo meno pericolosa. Siamo di fronte allo sviluppo di un nuovo tipo di terrorismo, dove il corpo non ha più alcun significato, anzi diventa uno strumento di distruzione”. Khaled si faceva le giuste domande e cercava risposte adeguate. Ai suoi occhi, i riferimenti pseudo-religiosi esibiti dai jihadisti erano “un “dirottamento” semantico del Corano”. Tesi che nel 2006, quando con l’Ulivo era stato eletto alla Camera aveva portato dentro al Parlamento in un cammino politico che l’aveva spinto ad aderire, in seguito al Partito Democratico e al Partito radicale transnazionale.
Uno che non aveva paura di guardare in faccia la verità e di affrontarla: “Non subito, non in sei mesi, ma l’Isis veramente può cambiare la situazione geopolitica del Medio Oriente”, diceva nel novembre 2014 a Trieste, durante la presentazione del suo ultimo lavoro, Il jihadista della porta accanto (Piemme), libro aggiornato dopo la strage di Parigi alla redazione di Charlie Hebdo. “L’Occidente è troppo abituato al terrorismo e basta. Invece Isis non è al Qaeda e non è un fatto episodico ma è una istituzione” ammoniva senza dimenticarsi di spiegare: “un’istituzione che ha riempito il vuoto lasciato dalla caduta del Muro di Berlino alla quale è corrisposta assenza di religione, di ideologie, e perfino delle società di consumo, che ormai non esistono più per colpa della crisi”. Meno di un mese fa, dal palco del Salone del Libro di Torino, non aveva avuto paura di dire “Siamo in guerra”.
La sua morte forse lo avvicinerà di più a quel grande pubblico a cui voleva parlare, scrivendo parole che resteranno per sempre. Parole che tutti dovrebbero leggere per essere cittadini di questo mondo complesso che, grazie a Khaled Fouad Allam, sembrava un po’ più comprensibile.
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