Eutanasia, Strasburgo dà il via libera: "Vincent Lambert può morire"

"Vincent Lambert può morire", arriva il via libera da Strasburgo per l'eutanasia. A presentare il ricorso contro la decisione del Consiglio di Stato di Parigi erano stati i genitori che oggi gridano: "È uno scandalo". Per la moglie è "un atto d'amore", per il medico ”un piccolo passo per Vincent Lambert, ma un grande passo per la nostra umanità”. 

La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha respinto il ricorso dei genitori di Vincent Lambert contrari all'eutanasia passiva.


Vincent Lambert potrà morire. Aveva 38 anni quando un incidente in motocicletta ha quasi spento il suo cervello nel 2008; ne ha 45 ora che la Corte europea dei diritti umani ha autorizzato i medici e la moglie a lasciar andare anche il suo corpo. Decisione che, se per i genitori che avevano presentato un ricorso per sospendere la decisione del Consiglio di Stato di Parigi “è uno scandalo” e promettono di battersi ancora, per il medico è ”un piccolo passo per Vincent Lambert, ma un grande passo per la nostra umanità”. 

È una storia dolorosa, questa. Una storia dove i genitori, ferventi cattolici, non si sono mai rassegnati al verdetto della medicina e tanto meno alla decisione della moglie e del medico di staccare la spina di quella vita appesa alle macchine. I miracoli accadono, Vincent “è disabile” ma non affetto da una malattia incurabile: insomma “non è in fin di vita", hanno sempre sostenuto, quindi la legge Leonetti del 2005 che vieta l'accanimento terapeutico non si applica al suo caso. Strasburgo gli ha dato torto, Vincent può morire, questa volta per sempre.   

Vincent era un infermiere, dal 2008 vive attaccato alle macchine, alimentato e idratato in modo artificiale e le sue giornate trascorrono in un cronico stato di coscienza minima, giudicato irreversibile da diverse perizie mediche. Non è un vegetale, reagisce, gli occhi si muovono ma non guardano niente e nessuno, sente dolore ma la coscienza che sta dietro alle sue reazioni è ambigua, incostante e soprattutto difficile da stabilire. Sette anni, sette giorni su sette di tentativi e di sedute di logopedia hanno dimostrato che tutto è vano: mai si è riusciti a stabilire con lui alcun codice di comunicazione. I danni sono irreversibili e lasciarlo andare, ne è convinta la moglie Rachel, è "solo un atto d’amore". 

Come quello di Peppino Englaro, il papà di Eluana, morta nel 2009 dopo 17 anni di coma irreversibile: fu lui ad appellarsi alla magistratura, fino al pronunciamento della Cassazione, per ottenere la sospensione dell’accanimento terapeutico nei confronti della figlia. Varie associazioni contrarie al fine vita presentarono ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo ma quella volta Strasburgo si limitò a considerare “irricevibile” un’istanza presentata da “ricorrenti che non hanno alcun legame diretto con la Englaro o con la sua famiglia”. Da allora non è successo nulla: in Italia nessuna legge contempla l’eutanasia a parte la legge regionale sul biotestamento approvata dalla Regione Friuli Venezia Giulia - terra del caso Englaro - impugnata dal Governo che ha sollevato conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. Una battaglia di carte, timbri e cavilli, combattuta mentre chi vive un calvario del genere aspetta risposte che non arrivano.

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