Burnout: stressati dallo stress i francesi chiedono una riforma

I francesi chiedono una riforma per riconoscere il crollo psico-fisico del lavoratore (o Burnout) come una malattia professionale. La proposta arriva dell’ex ministro socialista Benoît Hamon. In Italia il decreto legislativo 81/08 del 2011 obbliga le aziende a tenere a bada lo stress, pena sanzioni.  

Il burnout colpisce maggiormente chi, per lavoro, aiuta gli altri e si sobbarca il loro stress.


Medici, infermieri, assistenti sociali, poliziotti, vigili del fuoco e avvocati, ma anche operatori di call center. Professionisti diversi che in comune hanno due cose: il loro lavoro è aiutare gli altri, il loro rischio è farsi contagiare dal loro stress. In Italia non è una novità, al punto che dal primo gennaio 2011 è entrato in vigore il decreto legislativo 81/08 che ha sancito l'obbligo per le aziende e gli uffici di valutare l'orario, i turni, la ripetitività delle azioni, i carichi, le prestazioni e i ritmi di lavoro, le tensioni, le interferenze e gli eventuali squilibri tra lavoro e vita privata. Ma anche i percorsi di carriera, le lamentele e le relazioni tra i colleghi. In due parole il livello di stress, pena sanzioni da 2 a 6 mila euro. Perché non si tratta solo di lavorare per guadagnare, ma anche di stare bene per poter lavorare (bene). 

In Francia ne stanno discutendo dopo che l’ex ministro socialista Benoît Hamon ha proposto di riconoscere il cosiddetto burnout, il crollo psico-fisico del lavoratore, come una malattia professionale. Insomma, Charlie Chaplin docet: il lavoro può portare all’esaurimento e quando è colpa delle aziende è giusto che paghino. Anche perché in Francia sarebbero a rischio 3,2 milioni di persone, ma nel 2013 solo 239 dipendenti sono riusciti a farselo riconoscere. Il problema è riuscire a stabilire il “legame essenziale e diretto” tra lavoro e malessere e sviluppare un’invalidità superiore al 25%. Una soglia troppo bassa, secondo i promotori della proposta che chiedono di modificare i criteri, se si pensa che uno che perde una mano, per esempio, è giudicato invalido al 20%. Ora tocca all’Assemblea Nazionale approvarla o meno. Nel frattempo, com’era prevedibile, l’iniziativa ha il pieno appoggio dei sindacati ma ha scatenato la polemica tra gli imprenditori.  

Eppure se lo stress ha sempre appassionato gli studiosi, oggi - alla luce dei costi umani ed economici - preoccupa sempre più i governi e le imprese che, dati alla mano, lo considerano un fattore tanto rilevante quanto gli infortuni sul lavoro. Le vittime del cosiddetto stress lavoro-correlato sarebbero una popolazione di 40 milioni di europei, 4 milioni e mezzo gli italiani. Alle casse dell'Ue costa più 20 miliardi l'anno al punto che il malessere si è aggiudicato il secondo posto sul podio delle malattie. Tra i primi a tirar le somme sono stati i redattori dell'European Heart Journal: solo per curare i disturbi depressivi, gastrointestinali e cardiovascolari collegati allo stress, si spendono 44 miliardi di euro mentre la mancata produttività ne fa perdere 77. Insieme alla calma si perde anche il conto. 

Lo sa bene Antonio Ventre, psicologo psicoterapeuta che alla Città della Salute di Torino è stato responsabile del Servizio di Psicologia dell'Organizzazione - oggi confluito nell’ascolto della Medicina del Lavoro - dedicato alla prevenzione e alla gestione dello stress del personale in forma gratuita e anonima: “In media arrivava una persona al giorno - spiega Ventre - e, quasi sempre, lamentava disagi relazionali. Per inciso, sono più stressati nei laboratori piuttosto che nei reparti di oncologia, dove il contesto è più difficile ma le relazioni più gratificanti”. Nel 2012 hanno fatto un test di valutazione: “L’identikit di chi chiede aiuto allo sportello è una donna che ha tra 36 e 50 anni, sposata, madre, senza animali, che vive a mezz'ora di auto al massimo, che si è specializzata e realizzata ma non è soddisfatta, che lavora a tempo pieno, non ha la reperibilità costante ma fa i turni festivi notturni. Sono donne che accusano problemi di salute, che non sopportano i rumori, faticano a mantenere i turni e le relazioni”. Insomma, “se un normale livello di stress - continua Ventre - è necessario per vivere e rispondere agli stimoli, all'opposto, un accumulo diventa ingestibile e contagia la casa come la corsia, in un circolo vizioso molto pericoloso”. 

Alessandra Munno, psicologa e psicoterapeuta che nel campo ha una lunga esperienza, qualche dubbio ce l’ha: “sicuramente alcuni contesti sono stressanti ma la resilienza ci dice che ciascuno di noi reagisce agli stress in maniera completamente differente: non è così facile riuscire a discernere lo stress che deriva dal lavoro da quello che si accumula nella vita privata”. Ecco perché il burnout non è stato inserito nei manuali dei disturbi psichiatrici. È un fatto, però, che “se un lavoratore si sente bistrattato o non partecipe - osserva Ventre - renderà meno”. La pratica conferma la teoria: si calcola che “tra il 50 e il 60 per cento delle giornate perse derivino da problemi legati allo stress - conferma Andrea Petromilli, coordinatore del gruppo di lavoro sul tema costituito dall'Ordine degli Psicologi del Veneto -. Per le aziende l'obbligo legislativo di valutazione del rischio da stress lavoro correlato dovrebbe essere un'opportunità significativa in termini di efficienza”.  

Sergio Iavicoli, direttore del dipartimento di medicina del lavoro, area ricerca dell'Inail, nonché una delle menti che ha stilato i metodi di analisi, da anni ripete quanto lo stress sia un problema non solo personale ma con importanti ricadute professionali ed economiche: “dieci anni fa le aziende temevano di aprire il vaso di Pandora - spiega -, oggi hanno capito che ignorarlo costa come mantenere un matrimonio logoro”. Un esempio? “Gli infermieri che, massacrati, hanno messo in moto un turn over spaventoso creando un buco di centomila addetti: se finora il problema è stato tamponato, una volta affrontati i nodi della questione i benefici ricadranno a pioggia sui diretti interessati, i loro pazienti e le casse della sanità”. Alla spicciolata lo stanno capendo un po' tutti: “ci ha stupito - continua Iavicoli - la risposta delle aziende, in particolare quella del settore bancario che ha interpretato l'obbligo legislativo non come l'ennesima burocrazia ma come l'opportunità per migliorare le prestazioni”. 

Chi ha fatto di necessità virtù, conferma e già si gode i benefici: “Migliorando le condizioni di lavoro di medici, infermieri, tecnici e amministrativi i risultati sono stati sorprendenti” spiega Giovanni Monchiero, presidente della Fondazione Italiana Aziende Ospedaliere (Fiaso), che nel 2012 ha realizzato uno studio pilota riducendo i fattori di stress motivazionali e ambientali. Ebbene, un clima più favorevole paga: gli stressati sono scesi dal 25 a meno del 10 per cento e la produttività è cresciuta del 27. “La mia Asl (Cuneo 2) - conclude soddisfatto Monchiero - si è piazzata al secondo posto nella classifica con minor tasso di assenteismo”. Insomma, essere meno stressati fa bene a tutti, anche al portafoglio degli imprenditori. Forse più che di riconoscere il burnout come malattia è una questione di buon senso. 

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