Simone Borgese: la mamma e la tassista raccontano le due facce dello stesso uomo

Simone Borgese: il giorno dopo l'arresto per lo stupro di venerdì 8 maggio quando ha violentato una tassista nella periferia romana, la vittima e la madre raccontano le due facce dello stesso uomo. Un 30enne con un'adolescenza difficile che ha reagito nel più vergognoso dei modi.

Simone Borgese, 30 anni, venerdì 8 maggio ha violentato una tassista 43enne nella periferia romana.


Il giorno dopo l’arresto di Simone Borgese, il trentenne che venerdì 8 maggio ha violentato una tassista 43enne nella periferia romana, sono le vittime a parlare. La tassista, anzitutto, la cui esistenza, come ha raccontato a Repubblica, è stata “rovinata per sempre”. E la madre, la signora Giuliana che, intervistata dal Tempo, non riesce a vedere suo figlio “come un mostro”. Due donne che raccontano due facce dello stesso uomo. Un uomo che quella mattina di venerdì, quando è salito su quel taxi, ha tolto il tappo di una vita che faceva acqua da tutte le parti ed è scoppiato travolgendo tutto. Onore, dignità umana, rispetto. Una miseria che dev'essere apparsa enorme anche ai suoi occhi quando, dopo un maldestro tentativo di fuga, rassegnato, ha esordito nella sua confessione: “lo confesso subito e mi tolgo un peso, sono stato io: chi cercate sono io”.

Una resa che però non restituirà mai quello che ha strappato alla vita della sua vittima: “il fatto che ora sia dietro le sbarre e che la polizia lo abbia catturato in poco tempo è da una parte un sollievo perché non potrà più far male ad altre persone, ma quello che ha lasciato in me non passerà mai”. Un grumo di umiliazione e terrore durato una manciata di minuti che diventerà uno spartiacque nella sua vita: “ha iniziato a gridare, a offendermi, a insultarmi, dicendomi che la cifra era sbagliata e che comunque non aveva i soldi per pagarmi” ricorda la donna ripercorrendo quegli attimi terribili. E ancora: “ha voluto salire sul sedile davanti per controllare il tassametro. Appena entrato in auto dal lato passeggero mi ha dato subito un pugno sul viso che mi ha anche fatto sbattere la testa sul finestrino. Con una mano mi continuava a spingere la testa con violenza e con l'altra mi prendeva a schiaffi e pugni. Ad un certo punto mi ha afferrata per i capelli, avevo iniziato a sanguinare dal naso e quasi non ci vedevo più. È stato allora che le forze mi hanno abbandonata. Ricordo solo l'odore e il sapore del sangue che perdevo e avevo ovunque mentre lui abusava di me. Mi aveva immobilizzato tenendomi per i capelli come se me li volesse strappare, aveva una forza sovrumana e mi guardava fisso con due occhi che sembravano spiritati. Temevo di morire e di non farcela”. Invece ce l’ha fatta, ha avuto la forza di riprendersi, di chiedere aiuto, di denunciare. Una forza che non tutte le vittime di violenza riescono a trovare. Una forza che le permetterà di tornare sul suo taxi perché quello “è il mio lavoro, non so quando ma ricomincerò”.

Una forza che deve trovare anche Giuliana, la madre di Simone, una donna sconvolta dalla vergogna e dalla pietà, incredula, consapevole dei propri errori dettati da una vita ingiusta, fatta di abusi subiti e fughe per la sopravvivenza. "Mio figlio deve pagare per quello che ha fatto. Però vi prego di credermi, vi supplico: Simone non è un mostro, nella vita ha sofferto tanto”, racconta ripercorrendo l’adolescenza difficile di quel ragazzo figlio di “un padre alcolizzato, un barbone, un violento con il quale ha vissuto da quando me ne sono andata via di casa nel 2005, stanca di essere picchiata e maltrattata ogni giorno". Simone - continua la mamma - "si è sentito abbandonato due volte. Prima da me, dieci anni fa, poi dalla moglie. Soffriva da morire". E intanto postava su Facebook selfie a gogò, le foto con sua figlia e quelle della Roma, i video dei film di Totò e Alberto Sordi, e frasi del tipo “A me i piedi in testa non li mette nessuno”, “affronta chi ti sfida, ignora chi non ti pensa”.

Uno che sul lavoro era “molto bravo, veloce e di bella presenza – racconta l’ultimo datore – ma anche furbo. Aveva qualcosa di losco, un sorriso beffardo”. E ancora: “Voleva subito soldi – continua la proprietaria del ristorante a due passi dal tribunale – e quando non glieli ho dati, li ha chiesti ai dipendenti. Si è preso 300 euro dicendo che doveva pagare il funerale del padre. Ma forse aveva “buffi” con qualcuno. O magari servivano per la cocaina. Secondo me si drogava”. Un’ipotesi che la madre esclude: “Abbiamo chiesto se faccia uso di droghe, ma ci è stato negato”. 

Il giorno dopo la notte in carcere, Simone è un uomo preda di se stesso, capace di raccontare i dettagli della sua violenza con una freddezza agghiacciante: “l’ho portata con l’inganno in quella strada sterrata, vicino casa di mio nonno, mi sono fatto consegnare i soldi e l’ho costretta a un rapporto orale. Quindi sono sceso e sono andato a dormire da mio nonno”. Poi scende nei dettagli: ”Non so cosa mi sia successo in quel momento. Ero nervoso e mi sono sfogato su quella donna, era così attraente…”. Tutto per un “raptus improvviso" come l’ha chiamato lui, nascondendosi dietro all’ennesima follia che non basta a giustificare la violenza sulle donne, mai: "È una cosa di cui mi pentirò per tutta la vita, una cosa del genere non mi era mai successa prima”. Forse si è sentito schiacciato dal peso dell’ennesimo fallimento, dopo che anche quella famiglia che aveva provato a costruire si era sgretolata: “Ultimamente mi sentivo molto solo — racconta ancora il verbale dell’interrogatoriola madre di mia figlia (sette anni, ndr), di cui sono ancora innamorato, mi ha lasciato perché dice che la picchiavo tutte le sere perché ero geloso, ma io non l’ho mai toccata, amo mia figlia e mia madre”.
 
A raccontare la faccia violenta di Simone, però, c’è anche la voce di Paolo, il compagno della madre, che in passato si ritrovò con il naso rotto per un pugno sferrato da quel ragazzo dal carattere “duro e aggressivo”. Un ragazzo che, però, non riesce a non giustificare: “È sempre stato un gran lavoratore, sgobbava sodo. Io l'ho fatto lavorare con me, un mese. Non so che bisogno avesse di fare quello che ha fatto, compresi i furti di carburante dei quali è stato scritto (una vecchia accusa alle spalle di Borgese, ndr)". 

Non lo sa nessuno ma ciascuno dovrà fare i conti con le conseguenze di quelle sciagurate azioni.  La vittima della violenza, che dovrà riconquistare la sua libertà; la madre di Simone, che ora continua a spaccarsi la testa e a ripetere “non lo so, non capisco. Non faccio che pensarci e mi sembra un incubo”. E lui, Simone Borgese, che deve trovare il modo di vivere la vita in un altro modo. Anzitutto per la figlia, la quarta vittima di questa triste storia, troppo piccola per parlare, ma non abbastanza per non capire che il suo papà "buffo e dormiglione" ha fatto qualcosa di sbagliato. E un giorno gliene chiederà conto. 

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