L'abito fa il monaco e spesso anche il genio

Mark Zuckerberg, Barack Obama, Giorgio Armani, Sergio Marchionne e Steve Jobs: sono geniali, potenti e vestiti sempre uguali. Altro che frivoli: i vestiti raccontano chi siamo.

La divisa di Mark Zuckerberg è una T-shirt grigia e una felpa con il cappuccio.


Che cos'hanno in comune Mark Zuckerberg, Barack Obama, Giorgio Armani, Sergio Marchionne e Steve Jobs? Sono geniali, potenti, impegnati e di certo non poveri. Eppure - e questa era la risposta giusta -, nessuno dei tre si cambia mai d'abito. O meglio, lo fa regolarmente ma nessuno se ne accorge mai perché, a quanto pare, i loro guardaroba contengono una sfilza di abiti tutti uguali. T-shirt grigia, jeans e felpa con il cappuccio per il fondatore di Facebook, completi con camicia bianca per il presidente degli Stati Uniti, magliette e pantaloni blu come una divisa per il Re delle passerelle, maglioncino nero per il CEO della Fiat e outfit da mimo francese per lo scomparso cofondatore della Apple. La questione, che a prima vista sembrerà banale, è dibattuta anche perché, dicono gli esperti, il segreto del successo sta (anche) nell'essere riconoscibili che, in questo caso, si traduce nell'essere sempre vestiti allo stesso modo. In fondo anche Albert Einstein faceva lo stesso e l'armadio era un contenitore di abiti tutti uguali.

Gaia Vicenzi, psicologa e psicoterapeuta milanese, lo ripete da quando ha iniziato a riflettere su come il "sentirsi bene", ovvero lo "star bene con se stessi" fosse in stretto contatto con l’immagine personale che ciascuno ha di sé e che ciascuno crede che gli altri abbiano di lui. Riflessioni e percorsi che propone a Co.moda.mente, i seminari sull'abbigliamento e i colori che organizza a Milano (il prossimo sarà il 6 e il 7 febbraio). "A seconda di come ci vestiamo - spiega - ci comportiamo in un determinato modo e influenziamo gli altri con il nostro aspetto". Il che significa che un look azzeccato può fare la differenza sul lavoro, a un evento importante, al primo appuntamento. Ma non solo: gli psicologi cognitivi americani Adam Galinski e Hajo Adams hanno dimostrato come e quanto l’abbigliamento riesca ad aumentare (o mortificare) le nostre capacità cognitive. 

Insomma, anche se non ci facciamo troppo caso, "ogni mattina scegliamo un vestito piuttosto che un altro seguendo un filo che mette insieme elementi e concetti in grado di esprimere un nostro bisogno profondo e condizionando il comportamento di tutta la giornata", spiega Gaia Vicenzi. Per la serie siamo tutti Uno, nessuno e centomila, ogni giorno ciascuno veste non solo il proprio corpo ma anche la propria identità: "imparare a gestirle con gli abiti aiuta a migliorare le relazioni con gli altri e sul lavoro". A confermare ciò che le appassionate di moda sostengono da sempre, c'è anche Mind What You Wear: The Psychology of Fashion (Pensa a quello che indossi. La psicologia del fashion) il libro in cui Karen Pine, professoressa di Psicologia all'Università di Hertfordshire, oltre a rivelare come e quanto l'outfit racconti l'umore del giorno, avverte su come si finisca per assumere le caratteristiche di ciò che s'indossa.

Che, nel caso di Mark Zuckerberg, Barack Obama, Giorgio Armani, Sergio Marchionne e Steve Jobs (anche se quest'ultimo non è più tra noi) si traduce nella domanda in stile Nanni Moretti: mi si nota di più se mi cambio o se vado in giro vestito sempre uguale? Anche perché per fare il super guru dei Social, il presidente degli Stati Uniti, il Re della moda, il manager di successo e il genio della Apple una parte essenziale è non passare inosservato. I loro sono mestieri che hanno inglobato l'identità (e il guardaroba) senza snaturarla. Anzi, è anche grazie ai rispettivi outfit sempre uguali - a parte rare eccezioni, vedi Marchionne da Ratzinger in giacca e cravatta - che sono diventati i personaggi che sono, permettendosi l'irriverenza di essere seriali e sentirsi sempre a proprio agio in qualsiasi contesto, sorvolando le critiche di sciatteria o scarsa creatività. 


"Sento che non farei il mio lavoro, se sprecassi energie in cose frivole" ha infatti risposto Zuckerberg a chi gli chiedeva come mai non si cambiasse mai d'abito. Così come Marchionne, impegnato al di qua e aldilà dell'Oceano, ha abbandonato la varietà per sposare uno stile "monastico monocromatico, nero su nero". Altro che sciatteria: il suo, ha difeso più volte è "un esempio di nuovo modo di vestire internazionale". Per quanto riguarda invece lo scomparso Steve Jobs, basta leggere la biografia scritta da Walter Isaacson per comprendere come, dietro alla scelta d'indossare sempre la stessa dolcevita nera ci sia una precisa scelta stilistica: ammaliato dal lavoro dello stilista giapponese Issey Miyake, il guru della Mela gli chiese "di preparare qualcuna delle sue dolcevita che mi piacevano: me ne feci fare circa cento", in modo da averne "a sufficienza per il resto della mia vita". 

A questo punto, pensateci, domani mattina. D'altra parte, come scriveva Oscar Wilde, "solo i superficiali non giudicano dalle apparenze".


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