Charlie Gard, i genitori si arrendono: "è troppo tardi"
I genitori di Charlie Gard si arrendono prima del verdetto dell'Alta Corte che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla possibilità di trasferire il piccolo: "È tempo che vada e stia con gli angeli".
"È tempo che vada e che stia con gli angeli". In lacrime, devastati dall'ineluttabilità del destino del loro piccolo che "non vivrà fino al suo primo compleanno", i genitori di Charlie Gard si sono arresi a 24 ore dal verdetto del giudice Nicholas Francis dell'Alta Corte di Londra che avrebbe dovuto accordare o meno il trasferimento negli Stati Uniti per tentare una cura sperimentale. L'annuncio, straziante, dell'addio alle armi è arrivato dall'aula del tribunale dove un commosso Mr.Justice - come è stato soprannominato il giudice Nicholas -, ha dichiarato che "nessun genitore avrebbe potuto fare di più".
Davvero, è così: Chris Gard e Connie Yates hanno cercato di fare l'impossibile per salvare la loro creatura, affetta da sindrome di deperimento mitocondriale, una malattia rara (rarissima, ci sono solo altri 15 casi al mondo), genetica - i genitori ne sono entrambi portatori -, inarrestabile, forse dolorosa, che provoca l’indebolimento progressivo dei muscoli e ha già compromesso le cellule cerebrali causando un danno irreparabile che nemmeno le terapie sperimentali avrebbero potuto risolvere.
Per lui, condannato dalla malattia e dalle sentenze di due tribunali diversi - l'Alta Corte di Londra e della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo - secondo cui il destino meno penoso sarebbe stata una "morte dignitosa", si è mobilitato il mondo intero. Nelle ultime settimane il Congresso Usa aveva anche accordato a tutta la famiglia la cittadinanza americana pur di provare a salvarlo con un trattamento sperimentale messo a punto da un team di esperti internazionali - tra cui medici dell'Ospedale Bambin Gesù - guidato da Michio Hirano, neurologo americano della Columbia University.
“Non c’è un vincitore qui" ha dichiarato la madre, alla fine dell'udienza in cui ha ringraziato gli avvocati e i medici del Great Ormond Street Hospital, la struttura che lo tiene in terapia intensiva da febbraio 2017. Non senza rinunciare a ribadire che se il trattamento fosse stato iniziato prima forse Charlie si sarebbe salvato. Tant'è: “Amiamo nostro figlio, è un guerriero. Il suo spirito sarà con noi per sempre" ha concluso, prima di aggiungere che però "Non è troppo tardi per gli altri. Non dobbiamo dimenticare che nessuna vita è vana”.
Le hanno tentate tutte, i medici del Great Ormond Street Hospital prima di arrendersi, a febbraio 2017, quando l'encefalopatia ha spezzato ogni speranza e allora si sono opposti all'"accanimento terapeutico" dei genitori, decisi invece a trasferirlo negli Stati Uniti per tentare la cura divenuta accessibile grazie alla raccolta fondi che aveva commosso la Gran Bretagna accumulando oltre un milione di sterline. È allora che l'ospedale si è rivolto all'Alta Corte affinché decidesse nell'interesse del piccolo.
Dopo due sentenze unanimi e il tantissimo clamore che hanno suscitato, i medici del Great Ormond, si sono di nuovo rivolti all'Alta Corte chiedendo di pronunciarsi sulla possibilità di tenerlo in vita per sottoporlo a nuovi trattamenti sperimentati però solo su animali e non per quanto riguarda le cellule cerebrali e cardiache.
"La condizione di Charlie è eccezionalmente rara, con danni cerebrali catastrofici e irreversibili" spiegavano dal Great Ormond Street Hospital nel rivolgersi al giudice. "I nostri medici hanno esplorato ogni trattamento medico, comprese le terapie nucleosidiche sperimentali - precisavano -. Esperti esterni hanno convenuto con il nostro team che il trattamento sarebbe ingiustificato. Hanno detto che sarebbe inutile e prolungherebbe la sofferenza di Charlie. Non si tratta di una questione di denaro o di risorse, ma soltanto di ciò che è giusto per Charlie".
In questa complessa e dolorosa vicenda di bioetica, dove era così maledettamente difficile decidere dove far pendere l'ago, se sulla potestà genitoriale o sull'interesse del piccolo, dove mancava la certezza (impossibile da avere) che Charlie non soffrisse, alla fine hanno deciso i genitori.