UberPop ha perso: secondo il Tribunale di Milano è "concorrenza sleale"

UberPop ha perso: secondo il Tribunale di Milano è "concorrenza sleale". L'app che ha riversato nelle strade centinaia di giovani e disoccupati trasformandoli in driver ha 15 giorni per adeguarsi. I tassisti esultano, il buco normativo resta.  

Secondo Il Tribunale di Milano, il servizio prestato da UberPop è "concorrenza sleale".


Uber ha perso. I tassisti hanno vinto. Il Tribunale di Milano ha deciso che il servizio “pop” dell’app più amata dai giovani è concorrenza sleale. Tutto corretto, in punta di diritto: il colosso americano del trasporto privato a portata di click, che ha riversato sulle strade di mezzo mondo cittadini (per lo più giovani e disoccupati) trasformandoli in “driver” (sottopagati ma pur sempre occupati) disposti a traghettare con la propria auto da una parte all’altra della città, a prezzi ridicoli, altri giovani (erano loro i primi clienti dell’app), non gioca pulito. Della serie: facile fare quei prezzi se non ti devi sobbarcare tutti i costi che invece i colleghi tassisti devono affrontare per legge, dal tassametro all’assicurazione dell’auto per usi professionali. Per non parlare del fatto che i driver di UberPop ricevono i loro compensi sotto forma di rimborso spese, dunque non devono pagare le tasse, mentre il compenso del tassista è a tutti gli effetti reddito tassabile. Morale: il Tribunale ha deciso che basta, è ora di “inibire in via cautelare ed urgente” alle società del gruppo l'utilizzo, in tutta Italia, dell'applicazione web. 

Insomma, se la giustizia ha tutelato i più deboli (in questo caso i tassisti), all’indomani della decisone la sensazione è che abbiano perso un po’ tutti. E che sia successo, di nuovo, a causa del solito buco normativo tipicamente italiano. È la legge che è rimasta indietro, come troppo spesso accade. Le regole del servizio pubblico fanno riferimento a posteggi, centralini, auto con il contrassegno che, nel caso di Uber, non hanno ragione d’essere: è la rete, la gente si tiene in contatto senza che sia necessario nulla di tutto ciò. Perciò i tentativi dei tassisti di classificare UberPop come taxi abusivo erano falliti: non perché i giudici appoggiassero il servizio, piuttosto poiché l’app in questione non ha alcuna delle caratteristiche tipiche dei taxi, quindi chi lo guida non è un abusivo. Non è niente, insomma, a parte uno che fa il tuo stesso mestiere, a prezzi molto più bassi, senza l’onere delle tasse e senza lo straccio di una tutela, con il rischio di essere preso d’assalto (più volte la cronaca ha raccontato di tassisti che hanno aggredito i driver) e di vedersi sequestrata l’auto dai vigili se fermato a trasportare un cliente. Insomma, un poveraccio

La questione, spinosa, è stata rimandata dal governo per mesi. Il premier Matteo Renzi – entusiasta di Uber nelle vesti di presidente del Consiglio – ha più volte promesso un intervento legislativo. “Ce ne occuperemo la prossima settimana” aveva garantito un anno fa. Ad oggi, non se n’è ancora occupato nessuno.

Almeno in questo siamo messi (male) come tanti altri nel mondo: Uber è stato sospeso in Brasile, India, Thailandia, Olanda, Spagna, Francia e nello stato Usa del Nevada. Anche a Berlino i driver sono stati banditi. In altri stati come Vietnam, Singapore, Cina e Indonesia sono in corso cause simili a quella italiana.

A questo punto, come usa nel Bel Paese, non resta che attendere. Uber, che ha 15 giorni per adeguarsi alla decisione, ha già annunciato un ricorso: Zac De Kievit, legal director Uber Europa ha spiegato: “Faremo appello per evitare che centinaia di migliaia di cittadini italiani siano privati di una soluzione sicura, affidabile e economica per muoversi nelle loro città, e per permettere ai nostri autisti di continuare a lavorare. Rispettiamo la decisione ma non la capiamo”. I tassisti cantano vittoria e chiedono che il governo ora si metta “dalla parte della legalità”. Ai driver di UberPop, che ovviamente non hanno rappresentanti di categoria, non resta che piangere (e ritornare alla loro vita di prima). Ai loro clienti, che le tariffe del taxi non se le possono permettere, restano sempre le gambe in spalla. E pedalare. 

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