Bambini soldato: ecco come l'Isis strappa l'infanzia
Rapiti dalle famiglie, indottrinati nei campi, addestrati a diventare bambini soldato, boia o usati come kamikaze: gli orrori dell'Isis.
Bambini soldato, bambini boia, bambini kamikaze: mentre l’aspirante Califfato perde terreno, le milizie dell’Isis arruolano, indottrinano e mandano alla morte esseri umani a cui hanno strappato l’infanzia, la famiglia, la ragione. L’ultima testimonianza risale alla fine di agosto, quando on line è apparso il video di cinque bambini tra i 10 e i 13 anni che giustiziano altrettanti prigionieri curdi. Uno di loro urla “Nessuno può salvare i curdi, neanche con il supporto di America, Francia, Gran Bretagna, Germania e i diavoli dell'inferno”, poi tutti insieme puntano la calibro nove alla nuca dei prigionieri e insieme premono il grilletto al grido di Allah Akbar. Un gioco al massacro inculcato da adulti senza umanità.
Soldati, kamikaze, boia
Non è la prima volta, purtroppo non sarà nemmeno l’ultima che ai “piccoli leoni dell’Isis” vengono negati i diritti e imposto il folle gioco della guerra vera. C’è il jihadista di Tikrit e c’è il plotone dei 25 bambini soldato di Palmira, tanto per ricordare i casi che hanno avuto più eco. “I bambini vengono usati per attentati kamikaze, come combattenti, come cecchini e come spie”, spiega John G. Horgan, docente di psicologia alla Georgia State University di Atlanta e autore di Psicologia del Terrorismo (Edra edizioni). Prima, però, vengono indottrinati: l'unico libro di scuola è un Corano corrotto e blasfemo, i videogiochi “simulano la guerra” e gli sport la violenza. Poi si va nei campi, dove s’impara a smontare e rimontare kalashnikov e si assiste alle esecuzioni, decapitazioni comprese. Una volta assuefatti all’orrore ricevono un’arma e vengono mandati al massacro.
Aziz Abdullah Hadur, comandante Peshmerga, racconta di quelli che vengono usati come kamikaze: “vediamo i bambini sulla linea del fronte che indossano giubbotti esplosivi e si lanciano verso di noi: gli hanno fatto il lavaggio del cervello, non sappiamo mai se quando si avvicinano sono in fuga o sono stati mandati per uccidere. Molti nostri combattenti sono morti così. Si tratta di una decisione incredibilmente difficile, non sai cosa fare, perché se non li uccidi saranno loro a uccidere te”.
Bambini piccoli, mai più bambini
Quelli raccontati alla Cnn all’inizio del 2016 dai bambini fuggiti dalle terre occupate sono incubi ad occhi aperti: “Mentre ci addestravano ci dicevano che i nostri genitori erano miscredenti - ricorda Nasir, 12 anni, rapito in Siria e portato in un campo insieme ad altri 60 bambini -. La nostra prima missione era tornare e ucciderli”. Rifiutarsi significava prendere botte, a prescindere dall’età: “c’erano bambini anche di 5 anni e nessuno era esentato dall'estenuante formazione. Non eravamo autorizzati a piangere, ma io pensavo a quanto potesse essere preoccupata la mia mamma per me e volevo trovare un posto dove sfogarmi in silenzio”. Nasir oggi è al sicuro, ha riabbracciato la mamma nel campo profughi Esyan in Kurdistan: “Quando sono fuggito e l’ho rivista, è stato come tornare in vita”.
Una vita che però è difficile da vivere: anche se l’incubo è finito, il ricordo li accompagna notte e giorno: “Alcuni bambini si spaventano persino se sentono la parola Isis - racconta Khalid Nermo Zedo, attivista yazidi che ha contribuito a fondare il campo profughi Esyan -. Altri hanno le convulsioni. È una catastrofe e abbiamo bisogno di aiuto per cercare di sostenerli psicologicamente. Da soli non possiamo farlo”. Tutti insieme dovremmo, per lasciare a quei figli e ai nostri figli, un mondo meno sbagliato.