Colloquio di lavoro, sessismo e discriminazione: la denuncia di Paola fa il boom
Lo sfogo su Facebook di Paola Filippini, 28enne veneziana cacciata da un colloquio di lavoro per essersi rifiutata di rispondere alla domanda “Sei sposata? Convivi? Hai figli?” ha fatto il boom.
Può succedere di tutto, a una donna che si presenta a un colloquio di lavoro. Anche che il datore domandi, anzitutto: “Sei sposata? Convivi? Hai figli?” e pretenda una risposta. In caso contrario può capitare che il colloquio finisca sul nascere, ancora prima di vagliare competenze ed esperienze “perché non importa se hai studiato, se hai lavorato tanti anni, se hai fatto gavetta, se hai un bel curriculum. Importa se hai figli. Perché se li hai, è meglio che tu stia a casa ad allattarli”. Lo sfogo è apparso sul profilo Facebook di Paola Filippini, veneziana, 28 anni, tre lingue parlate, parecchie esperienze professionali alle spalle, il sogno di mantenersi con la fotografia e qualche lavoretto extra per arrotondare. Come quello che sperava di aggiudicarsi alla “nota agenzia immobiliare di Mestre che si occupa - anche - di affitti turistici”. E invece.
E invece lei si è rifiutata di rendere conto dei fatti suoi ed è andato tutto a rotoli: “Posso non rispondere?” ha domandato al datore che, a sua volta, le ha risposto: “Certo. Allora ti puoi anche accomodare fuori, per me il colloquio finisce qui”. Poi ha preso il Questionario Informativo, glielo ha strappato in faccia “con fare da vero uomo duro”, si è alzato e le ha aperto la porta. Paola ha chiesto spiegazioni e “Lui, l'egregissimo M.M.” gliene ha date: “Perché tu mi devi rispondere alle domande, e se non mi rispondi il colloquio non può proseguire”. Fine della storia.
Una volta a casa, la giovane ci ha pensato su "diecimila volte" e poi ha riversato la sua rabbia su Facebook raccontando per filo e per segno che cosa aveva appena subito. Per l'ennesima volta, pure. Ebbene, quel post ha raccolto più di 65mila like, è stato condiviso quasi 40mila volte e ha più di 300 commenti. Tutti solidali, molti che raccontano storie simili, tanto squallide quanto vergognose. Ai pochi che hanno obiettato che “era solo una domanda, potevi rispondere”, Paola ha replicato con le stesse parole usate al colloquio: “se a una donna viene chiesto di dichiarare la sua situazione famigliare prima di chiederle quali sono le sue capacità, cosa sa fare e quali sono le sue aspettative lavorative, allora siamo proprio in un mondo di merda”. Il fatto è che siamo anche nel torto, visto che quel datore non aveva nessun diritto di conoscere la vita privata del candidato. Anzi, facendolo, ha violato le norme.
“Devo sapere se sei sposata e se hai figli, perché questo determina la tua disponibilità lavorativa”, ha preteso lui, giustificandosi. Errato: il datore di lavoro può, semmai, pretendere la disponibilità settimanale. Ma da lì a domandare come sia organizzata la sua vita privata ce ne passa e, sopratutto, la legge lo vieta: vedi l’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori e le direttive comunitarie sulle pari opportunità recepite dal nostro ordinamento. Senza contare il fatto che dovrebbe essere il buon senso a suggerirlo. Ma se l’Italia è il paese con un tasso di occupazione femminile del 46% contro il 64% maschile, tra i motivi ci sono anche questo tipo di discriminazioni. Tanto più che il datore in questione non si è fatto troppi problemi a confessarlo. A domanda diretta ha risposto: “no, ai maschi non lo chiedo. Perché questo è un lavoro che ritengo debbano fare solo le donne”.
Delle parole che avrebbe voluto urlargli gliene sono uscite solo un terzo. Il resto le ha scritte nero su bianco su Facebook, in una lettera aperta rivolta anzitutto al diretto interessato ma non solo: “nel tuo bellissimo ufficio hai incorniciato la foto di tua figlia, una graziosa ragazzina di circa 16 anni, che – per ironia della sorte – assomiglia tantissimo a me quando avevo la sua età. Prova a pensare, piccolo uomo con piccolo cervello e grande presunzione, quando un giorno non molto lontano, la tua piccola vergine figliola andrà a fare un colloquio di lavoro, ed incontrerà un piccolo uomo che le chiederà se è sposata, se ha figli, se convive, e che le sue risposte in merito alla sua situazione famigliare determineranno il suo successo lavorativo. Prova a pensare per un momento come può sentirsi una donna, quando le viene fatta una domanda del genere. È offensivo, è bruttissimo, è una violenza”. Una violenza che le donne subiscono troppo spesso e di cui gli uomini si vergognano troppo poco.
Copyright foto: Fotolia/Facebook@Paola Filippini
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